Cane fra i cani. Parabole di uomini e animali

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L’attrice Anna Amadori conduce il laboratorio teatrale sui racconti e i diari di Franz Kafka

Sarà presentato il 22 ottobre alle 20.30, a Bologna, nello spazio Ateliersi, collettivo di produzione artistica attivo nell’ambito delle arti performative e teatrali e di produzione di spettacoli e formazione. Cane fra i cani. Parabole di uomini e animali, questo il titolo, è un laboratorio teatrale sull’umorismo nero dedicato ai racconti e ai diari di Franz Kafka che si svolgerà tutti i martedì dal 29 ottobre al 20 maggio, dalle 20 alle 22.

Amadori, formatasi alla Scuola di Teatro di Bologna e con Dominic De Fazio e Philip Gaulier, dal 2008 ha portato sul palco lavori degli scrittori Herta Muller, Raymond Carver e Cristina Campo, fino ai più recenti L’Inatteso e I Girasoli del drammaturgo Fabrice Melquiot. Intensa la sua attività laboratoriale e di ideazione e cura dei progetti formativi di Stagione Agorà nell’ambito di Agorà Formazione; fra questi ricordiamo il più recente laboratorio per giovani attori e attrici condotto dal Premio Ubu Danio Manfredini. Di seguito l’intervista.

L’attrice e curatrice del laboratorio Cane tra i cani – photocredit Paolo Cortesi

 

Come è nata l’idea di questo laboratorio e perché la scelta è ricaduta su un autore come Franz Kafka in cui è molto forte il senso dell’assurdo, lo humor, il pessimismo, l’utilizzo ricorrente della metafora?

A.A.: Kafka è un autore mitografico per la nostra cultura: Josef K., Gregor Samsa, La scimmia di Relazione per una Accademia, il cane di Indagini di un cane, Josephine, la cantante topo, il condannato di La colonia penale hanno natura ontologica, eterna e universale, di personaggi mitici come Oreste, Antigone, Amleto, Don Giovanni, Faust, Raskolnikov. Per questo Kafka è un autore che costantemente accompagna il mio studio e la mia ricerca. La condizione esistenziale e il momento storico che stiamo vivendo mi spingono a condividere oggi questa dedizione. Chiedo aiuto a Kafka per rinunciare alla trappola dell’identificazione e dell’emozione, della cronaca; chiedo aiuto al suo sguardo pulito, senza sconti e libero da ogni vanità spettacolare, per trovare un luogo di silenzio e concentrazione dal quale guardare le nostre vite. Kafka scriveva sempre di notte: ecco, vorrei trovare la notte che, vuota della minutaglia quotidiana, rende concrete le nostre ombre e ce le rivela nel loro intreccio indissolubile di comico e tragico, di bene e male, di desiderio intenso e estraneità del vivere. La metafora è figura retorica inscindibile dal linguaggio, noi pensiamo/nominiamo il mondo attraverso metafore: Kafka vede per noi metafore impensabili e irreali, illumina il mondo con la luce tagliente dell’intelligenza e dell’immaginazione che cancellano ogni primato di soggettività imposto dalla regola sociale e guariscono ogni tentazione di narcisismo.

A chi è rivolto principalmente questo laboratorio e quali sono le sue finalità?

A.A.: A tutti quelli che saranno incuriositi e attratti dalla poetica che ho sopra descritto, a tutti quelli che amano Kafka e a tutti quelli lo che detestano, a tutti quelli che cercano il suo silenzio siderale attraversato dalle onde sonore della creazione, a tutti quelli che pensano con il corpo e la fantasia e che, non sapendolo, sono attori.  

Quale sarà l’approccio del tuo laboratorio a questo autore e quali racconti saranno affrontati? Immagino non mancherà Indagini di un cane scritto nel 1922

A.A.: Prima di tutto, come per ogni mio laboratorio, ci sarà il percorso di costruzione di un gruppo affiatato e coeso che condivide modi, regole e lessico: questa è per me la base del teatro. Concretamente questo passa attraverso la pratica di allenamento alla scena e agli strumenti psicofisici che le servono (consapevolezza del corpo, concentrazione, sviluppo dell’immaginazione e della relazione nel gioco teatrale, etc). Accanto e intrecciato a esso ci sarà il lavoro specifico sui racconti e sui diari di Kafka. Una parte del lavoro sarà dedicata alla lettura ad alta voce dei racconti di Kafka per avvicinarci alla loro messa scena in un congegno teatrale tutto ancora da inventare e che costruirò con i partecipanti al laboratorio, con la messa in comune di pensieri e immagini che i testi suscitano, insomma con la sensibilità e la storia di ognuno di loro: da qui nascerà la visione collettiva dell’esito pubblico del lavoro, la quadriglia finale di scherzo e disperazione.

I racconti dove a parlare sono gli animali sono quelli che mi hanno convinto di più a proporre Cane fra i cani perché, in essi più che in altri, Kafka ci preclude ogni identificazione emotiva ed esistenziale e scardina ogni scontatezza di genere, sussumendo lo sguardo di cane, topo, talpa, sciacallo, scarafaggio e sollevando con essi il velo ormai abbastanza stracciato della nostra condizione ipocrita e codarda. Sì, ci sarà Indagini di un cane.

Sempre riguardo la presentazione del laboratorio tu anticipi che l’esito finale del laboratorio sarà “una quadriglia finale di scherzo e disperazione”…

A.A.: La quadriglia è un ballo che si fa in tanti, secondo una coreografia semplice ma molto precisa: ricorda il quadrato dentro il quale le regole determinano il gioco (dalla boxe agli scacchi, dalla guerra al teatro). Penso che questa suggestione ci aiuti a trovare il gioco per affrontare Kafka e i suoi testi, perché la quadriglia è una danza popolare diffusa in tutta Europa ed è insieme carnale, allegra, vitale ma regolata da schemi semplici quanto ripetitivi, una forma rituale eppure con tratti specifici in ogni diversa tradizione popolare. Scrivere è scherzo e disperazione scrive Kafka a Max Brod: la quadriglia di Kafka non può che essere intessuta di scherzo e disperazione, di riso e di sbigottimento.

Ancora una volta nel presentare il tuo laboratorio hai parlato dell’attore come figura in via di estinzione. Quali sono gli antidoti all’estinzione?

A.A.: L’attore è artista consapevole e libero, anche dentro la struttura di una regia. Il teatro è insieme antico e futuro: ora il lavoro dell’attore sembra soffocantemente legato ad un presente di occasioni e sopravvivenza e il teatro che vediamo ne propone un’idea molto confusa, tesa nella forbice, da una parte, della espressività spontanea e, dall’altra, della tecnica funzionale a progetti produttivi siano essi teatrali, televisivi o cinematografici. Il presente di un attore è spesso un lavoro da fare male e in fretta seguendo logiche forse economiche, nel migliore dei casi, ma mai artistiche. La parola teatro implica studio, pratica, allenamento, immaginazione, intelligenza, tutte parole in disuso come sembra in disuso ormai l’attore inteso nel più alto dei sensi. A questa riflessione ne associo una più politica: oggi il sistema teatrale italiano, grazie alla legge Franceschini e dopo la crisi del Covid, riduce il teatro alla produttività inconsulta e sperperante dei Teatri Nazionali e di poche altre strutture finanziati dallo Stato. Pochi attori “girano” in questa miriade di produzioni più o meno grandi, più o meno riuscite: ogni “campanile” ha la sua scuderia perché gli spettacoli non hanno più circuito e quindi vita, la legge impone di fare continuamente spettacoli nuovi e quindi sono sempre gli stessi attori a esservi impiegati. Insomma si sta assistendo alla costruzione del tutto immaginaria di un Gotha degli attori e del teatro ufficiale e se ne può leggere un segno  perfino nell’eccessività del lessico usato per parlare di teatro, sia nella promozione che ormai è diventata pubblicità di prodotto sia nell’analisi critica (tutto è: eccezionale, straordinario… ma spesso, per esempio di uno scollamento dalla concretezza del lavoro di scena, non vengono citati i nomi degli attori,  a parte quelli delle “star de noantri”). Questo è il principale motivo di estinzione dell’attore.

Tu la primavera scorsa hai portato Danio Manfredini a Bologna. Cosa ha lasciato questa esperienza a te e a chi ha partecipato al suo laboratorio?

A.A.: Io ho curato il laboratorio. I giovani attori e le giovani attrici che lo hanno seguito hanno ringraziato Danio prima di tutto e poi Liberty. Penso che la gratitudine sia il portato che mi è più caro di questa offerta formativa. 

Progetti per il futuro?

A.A.: Si confermano tutti i progetti formativi con ERT, la collaborazione importante con Ateliersì che accoglie e sostiene da anni i miei percorsi di formazione teatrale per adulti; si apre una nuova collaborazione con l’Associazione Tilt di Imola per un laboratorio teatrale che co-dirigo con Maurizio Cardillo; soprattutto sarò impegnata in La Parola e la voce, un progetto che è stato selezionato nel bando di Cepell (Centro per il libro e la lettura-Ministero della Cultura), Ad Alta Voce 23.

La parola e la voce nasce dalla pratica e dallo studio nell’ambito della lettura pubblica e della riflessione sul valore antropologico e la funzione sociale della parola detta e in particolare di quella letteraria–percorsi che porto avanti da molto tempo. Sono responsabile e direttrice di questo progetto per Associazione Liberty che negli ultimi anni ha accolto, sostenuto e diffuso il mio lavoro sulla lettura e i progetti formativi, con risultati sensibili.

Ora questi risultati, grazie alle azioni previste dal progetto–forte dell’adesione di Partners importanti (Città Metropolitana di Bologna, Comune di Bologna-settore Biblioteche, Unione Reno Galliera e Associazione Biblios, Associazione Leggere Leggere e Junior Poetry Festival, Associazione Tararitararera, AKI-Associazione Kamishibai Italia)-possono essere condivisi con un territorio più vasto e con un maggior numero di persone e assumere una visibilità che renda ragione della specificità del mio lavoro sulla parola e che indichi insieme delle nuove linee di ricerca e sviluppo per tutti i soggetti coinvolti e tutti i partecipanti, anche grazie a esperti autorevoli di diverse discipline che saranno invitati a farne parte. La parola e la voce sarà realizzato dal 21 ottobre 2024 al 21 ottobre 2025 nel territorio della Città Metropolitana di Bologna e degli otto comuni dell’Unione Reno Galliera.Per quanto riguarda la produzione artistica, ho molte idee ma rinuncio al desiderio: o trovo  una produzione seria che rende la bella idea un lavoro oppure la mia veneranda età mi
dice che non è proprio necessario, che fare uno spettacolo che farà tre repliche e verrà
visto ( come ormai tutto il teatro italiano) dai soliti noti, come in una riunione stantia di
famiglia senescente, è uno sperpero di energie, idee e vita, una inutile generosità o
meglio, per parafrasare Pasolini, una inutile vitalità.