Cambio di linea

di
Nicola Moscardelli

tempo di lettura: 7 minuti


Ogni tanto la Società dei Tram muta l’itinerario delle sue vetture. Avrà le sue buone ragioni per farlo. Ma le conseguenze di questi mutamenti sono tante e talune così incredibili che a raccontarle tutte ci vorrebbe un volume. Accontentiamoci di narrarne una, prodotta dall’ultima variazione di percorso della linea numero 5.

Ogni linea tranviaria ha un’anima diversa da quella delle altre linee. Ce ne sono di quelle dove si incontrano, alla dieci del mattino, delle signorine con la racchetta del tennis; ed altre dove, alla stessa ora, si incontrano solo dei rappresentanti di commercio, ma di una certa qualità, che hanno con sè delle valigette, piccole a vedersi, ma pesanti come il ferro; e durante il tragitto sfogliano dei taccuini su cui con la matita copiativa sono scritti indirizzi ed indirizzi: tabaccai, merciai, droghieri, bazar della cinta e dei sobborghi della città. Su altre linee, ancora, a quelle ore, si incontrano solo delle donne, di quelle che i passaporti e le carte di identità chiamano «donne di casa», che tornar dalla spesa con la borsa gonfia che scoppia e mostra nell’apertura qualche capo di verdura. Altre sono preferite dai borsaioli perchè molto affollate e perchè portano, verso i monumenti o i musei, indigeni o forestieri col portafoglio gonfio.

I clienti abituali d’una stessa linea a furia di incontrarsi ogni giorno, alla stessa ora, finiscono per conoscersi senza conoscersi, ed alla prima occasione, siate sicuri, dopo un certo tempo essi si parleranno, perchè senza sapere nulla gli uni degli altri si possono chiamare quasi amici, di quella amicizia cittadina che si alimenta di fugaci incontri, di saluti fulminei da un marciapiede all’altro, più distanti che da una all’altra città.

La linea numero 5 è affollata al mattino di impiegati, commessi, sartine, operai provenienti dai sobborghi e diretti ai punti più opposti della città come le api quando escono a caccia di fiori. Nell’ammasso di gente pigiata fin sui predellini, successe un giorno che un giovane posasse lo sguardo su di una ragazza piacente. Erano due atomi, due granelli di polvere che il vento aveva per un attimo fatti avvicinare. Nessuno dei due esseri pose mente allo sguardo dell’altro. Ma il giorno dopo eccoli di nuovo sullo stesso tram, ecco di nuovo il medesimo sguardo fugace. Egli, per gioco, dentro di sè si disse che voleva sapere dove essa sarebbe scesa e vide che dopo il ponte scendeva, infilava una via laterale, e scompariva. La seguì con lo sguardo svogliatamente finchè il tram si rimise in moto. Dopo tutto non erano che due passeggeri che prendevano il tram alla medesima ora. Il terzo giorno si incontrarono di nuovo e quasi quasi evitarono di guardarsi. Venuti da punti ignoti e diretti verso mète sconosciute non avevano in comune che la medesima tessera, il medesimo tratto di strada e forse uno stesso orario di lavoro: poi scomparivano l’uno all’altro come le persone dei sogni che quando stanno per parlare ci destiamo e si dissolvono.

A forza di sommarsi insieme, i loro sguardi cominciarono a fissarsi nella memoria, cautamente, lentamente essi si venivano incontro simili ai minatori che da opposte trincee muovono verso il diaframma che di due gallerie farà una. Già cominciava quell’imbarazzo leggero delle persone che non si conoscono eppur si conoscono, e già il pensiero cominciava a lavorare avanti l’ora dell’incontro. Seduti ai punti opposti della vettura, i loro cervelli lavoravano concordemente per decifrare l’enigma che l’uno rappresentava per l’altra. A lui, lei faceva l’impressione di una di quelle ragazze che vanno al laboratorio a cucire camicie, mutande, o magari panciotti o pantaloni, sotto la sorveglianza d’una padrona un po’ grassa che non tollera distrazioni o discorsi fra le ragazze. Sedute intorno al gran tavolo esse cuciono in silenzio, dandosi ogni tanto una voce: «Annetta, passami le forbici! Giulia, il rocchetto del filo nero!»

Solo quando la padrona va di là, in cucina, esse levano gli occhi dal lavoro, si guardano furtivamente, scambiano sottovoce una parola d’un discorso cominciato chissà quando, ridono stringendosi nelle spalle, riabbassando di colpo il capo non appena sentono nel corridoio le ciabatte della padrona che torna, e quasi par che il riflesso del sorriso che illumina il loro volto illumini anche la tela distesa sulle ginocchia.

Lui vedeva in ogni particolare la sconosciuta nella cornice del laboratorio. A poco a poco, il suo pensiero riusciva a creare dal nulla la giornata della fanciulla, come da una sola lettera un intero discorso.

Lei, sola e pigiata sui banchi della vettura, guardava fuor del finestrino, perchè nulla ingombra tanto quanto lo sguardo in certe occasioni, che non si sa dove posarlo, e lo si porta fuori, sollevato al di sopra delle teste dirimpetto come un ombrello sgocciolante tenuto distante affinchè non insudici gli abiti del vicino. Ma il suo cervello lavorava anch’esso a decifrare l’enigma dello sconosciuto che l’aveva guardata, e la guardava ogni giorno. Più difficile era per lei indovinare chi fosse l’altro. Le donne anche vestite tutte a una maniera, sono meno misteriose degli uomini: un nulla rivela la loro natura, il loro mestiere. Ma l’uomo? Ella pensava che lui dovesse essere commesso in un negozio, ed era convinta che fosse un negozio di stoffe.

Stava mentalmente per varcare la soglia di quel fantomatico negozio quando, senza un perchè, si diceva che non era possibile, ed immaginava che fosse un sarto, che andasse anche lui a cucire da un padrone. Si adagiava in questa immaginazione e le pareva che tutto fosse vero, e che ogni pensiero fosse una parola che ella leggeva nell’aria. Improvvisamente il finestrino del tram diventava la stanza della sartoria dove lui era il tagliatore, il migliore, senza dubbio, che se avesse perduto quel padrone ne avrebbe ritrovati dieci, tanto era bravo. Ma il tram si fermava, era giunto al ponte, e lei come destandosi e quasi cambiando viso, si alzava, scendeva, traversava la strada e scompariva, mentre lui la seguiva con lo sguardo e la vedeva svanire.

Le domeniche erano zone nere: invano il pensiero lanciava le sue onde verso i punti più opposti della città. Essi non si erano veduti al mattino, come tutti i giorni. Una parete oscura e dura sbarrava i loro sguardi. Nulla: era la domenica, con tutte le cose e con tutti i pensieri diversi da quelli di tutti gli altri giorni. Il lunedì erano di nuovo a galla, salvi: si rivedevano, riannodavano il filo spezzato.

Dopo un mese, senza che avessero mai avuto la possibilità di parlarsi una volta, erano amici di vecchissima data. Sarebbe bastato che la vettura una mattina qualunque fosse meno affollata del solito, e che avessero potuto sedere vicini. Lui aveva già il suo piano. Sarebbe sceso anche lui al ponte, l’avrebbe seguìta per pochi passi, e dal momento che ora si conoscevano benissimo, in due parole si sarebbero spiegati. Anzi, a pensarci bene, non era nemmeno necessario che la vettura fosse poco affollata. Lui sarebbe sceso, e dopo tutto quello che c’era stato fra di loro, in due parole si sarebbero intesi. Tutta’al più sarebbe arrivato al suo posto di lavoro con dieci minuti di ritardo. Ormai il diaframma che divide i due tronchi della galleria stava per cadere. Essi si sarebbero incontrati alla luce, dopo di essersi cercati quasi per un mese sotterraneamente.

Mentre in una qualunque delle vetture della linea 5 si annodavano così i destini di due qualunque passeggeri, nel palazzo della Società dei tram, quattro ingegneri curvi su di un gran tavolo scrutavano una enorme pianta della città tutta venata di linee rosse: le linee appunto dei tram. Con compassi e decimetri misuravano i vari percorsi, tracciavano linee ipotetiche, qua recidevano, colà ricucivano, facevano calcoli, spostavano a destra una linea, la ricacciavano a sinistra, ne creavano delle nuove.

Dopo aver molto calcolato e disegnato, trovarono che la linea 5 aveva un percorso assurdo rispetto al traffico. Con un tratto di matita rossa la deviarono, la incanalarono su altri binari, così, tranquillamente, come un bambino disegnerebbe i baffi al volto della «Gioconda». Poi diramarono un comunicato ai giornali: e il traffico se ne avvantaggiò molto.

Ma il giorno dopo i due sconosciuti che si conoscevano benissimo, per giungere ai loro posti di lavoro doverono prendere altri tram, diversi. Si trovarono così l’uno su una linea, l’altra su di un’altra. Guardarono entrambi nella folla se mai si vedesse il volto conosciuto. Non si vedeva. L’itinerario delle loro vite, come quello delle loro vetture, s’era biforcato. Essi non si videro quella mattina.

Non si vedranno mai più.

Fine.


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TITOLO: Cambio di linea
AUTORE: Nicola Moscardelli

DIRITTI D'AUTORE: no

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TRATTO DA: Il sole dell'abisso / Nicola Moscardelli. - Lanciano : G. Carabba, [1930]. - 268 p. ; 20 cm.

SOGGETTO: FIC000000 FICTION / Generale