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(voce di SopraPensiero)Prende il via l’8 novembre (fino al 10) al Palacongressi di Rimini il Convegno Internazionale sulla Qualità dell’integrazione scolastica e sociale, con la presenza di oltre 200 relatori e la presentazione degli ultimi libri di Marco Lodoli (Vento forte tra i banchi) e Marc Prensky (La mente aumentata). Abbiamo intervistato Dario Ianes, Docente ordinario di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano e co-fondatore del Centro Studi Erickson (organizzatore del Convegno), a proposito dell’ultimo libro da lui curato insieme a Sofia Cramerotti dal titolo Alunni con BES (Bisogni Educativi Speciali). Indicazioni operative per promuovere l’inclusione scolastica sulla base della Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 e della Circolare ministeriale del 6 marzo 2013 (ed. Erickson).
La tematica dei Bisogni Educativi Speciali (BES) sarà al centro del Convegno del prossimo 8 novembre. Di che si tratta?
Il Bisogno Educativo Speciale è qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e/o apprenditivo, espressa in un funzionamento (nei vari ambiti della salute secondo il modello ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizzata. Il concetto di BES è quindi una macrocategoria che comprende dentro di sé tutte le possibili difficoltà educative-apprenditive degli alunni, sia le situazioni considerate tradizionalmente come disabilità mentale, fisica, sensoriale, sia quelle legate a difficoltà come quelle che si presentano nei disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), nel disturbo da deficit di attenzione/iperattività, ad esempio, e in altre situazioni di problematicità psicologica, comportamentale, relazionale, apprenditiva, di contesto socioculturale e linguistico, ecc.
Come si può impostare una didattica realmente inclusiva per i BES?
Tutte le situazioni elencate sopra sono diversissime l’una dall’altra, ma malgrado la loro diversità un dato le avvicina e le rende sostanzialmente uguali nel loro diritto a ricevere un’attenzione educativo-didattica sufficientemente individualizzata e personalizzata. Una scuola che sa rispondere adeguatamente a tutte le difficoltà degli alunni e sa, dove possibile, prevenirle diventa una scuola davvero e profondamente inclusiva per tutti gli alunni, una scuola dove si eliminano le barriere all’apprendimento e alla partecipazione di ognuno. L’esigenza dell’inclusione è quella di poter rispondere con un’individualizzazione “sufficientemente buona” per tutti gli alunni con BES nell’ottica che, ognuno di essi, possa raggiungere il proprio massimo potenziale di apprendimento e di partecipazione.
Una didattica realmente inclusiva porta a rimuovere le barriere, a creare il maggior numero possibile di facilitatori all’apprendimento e alla partecipazione di tutti gli alunni (con opportune modalità di differenziazione). In quest’ottica ci sono alcune decisioni strategiche e operative che la scuola deve prendere:
- Occuparsi in maniera efficace ed efficiente di tutti gli alunni che presentano qualsiasi difficoltà di funzionamento educativo-didattico.
- Accorgersi in tempo delle difficoltà e delle condizioni di rischio.
- Accorgersi di tutte le difficoltà, anche di quelle meno evidenti, presenti in tutti di alunni.
- Comprendere le complesse interconnessioni dei fattori che costituiscono e che mantengono le varie difficoltà.
- Rispondere in modo inclusivo, efficace ed efficiente alle difficoltà, attivando tutte le risorse dell’intera comunità scolastica e non.
Dalla Direttiva ministeriale del 27.12.12 alla Circolare del 6.3.13: una scuola «diversa per legge», o una nuova cultura dell’insegnamento?
La Direttiva ministeriale del 27/12/2012, «Strumenti d’intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica» e la successiva Circolare del marzo 2013 recante le indicazioni operative per la sua attuazione hanno certamente suscitato reazioni contrastanti nel mondo della scuola e tra coloro che si occupano di inclusione scolastica, ma hanno sicuramente il merito di andare nella direzione illustrata in apertura di questo articolo. La scuola sente quindi fortemente la necessità di ricevere indicazioni per essere in grado di orientarsi e rispondere tempestivamente a questi bisogni. La scuola italiana ha nel suo DNA la volontà inclusiva, l’equità, la promozione sociale e la valorizzazione di tutti gli alunni, qualunque sia la loro condizione personale e sociale. È una scuola con la voglia (e il senso di una mission culturale) di dare a ogni alunno ciò di cui ha bisogno per esprimere e realizzare al massimo le sue potenzialità, anche quando sono limitate. Leggendo la Direttiva e la Circolare emergono subito dei precisi concetti chiave e delle parole «calde» che rimandano a indicazioni di lavoro concrete, ad approcci metodologici e ad aspetti fondanti della didattica inclusiva. Uno concetti esplicitati è quello di estensione, ossia di un’attenzione che viene estesa ai BES nella loro totalità, andando oltre la certificazione di disabilità, per abbracciare non solo il campo dei disturbi specifici dell’apprendimento ma anche lo svantaggio sociale e culturale e le difficoltà linguistiche per gli alunni stranieri. L’ottica è quindi quella della presa in carico globale e inclusiva di tutti gli alunni che implica innanzitutto, una capacità d’individuazione corretta dei vari BES.
Nel libro si parla delle esperienze realizzate dal Centro Territoriale di Supporto (CTS) «Marconi» di Bologna. Che cos’ è un CTS? Qual è il suo ruolo?
La DM del 27/12/2012 la successiva Circolare ministeriale del marzo 2013 ribadiscono il ruolo fondamentale ricoperto da anni dai CTS come collegamento fra l’Amministrazione e le scuole rispetto ai temi dell’inclusione. In particolare, la CM 8/2013, facendo riferimento alle potenzialità operative dei CTS, affida loro il delicato ruolo di «interfaccia fra l’Amministrazione e le scuole, e tra le scuole stesse» e sottolinea la loro funzione di «rete di supporto al processo di integrazione, allo sviluppo professionale dei docenti e alla diffusione delle migliori pratiche». Il ruolo e le opportunità offerte dai Centri Territoriali di Supporto (CTS) e per l’Inclusione (CTI) sono quindi strategici per attuare in modo ottimale le azioni inclusive della scuola anche su un piano strettamente operativo. La condivisione e lo scambio di buone prassi, renderle disponibili e replicabili, creare una cultura della documentazione sono quindi ulteriori aspetti supportati dai centri regionali di riferimento. Le buone prassi rappresentano un patrimonio dal quale è possibile trarre suggerimenti, indicazioni, spunti per migliorare la qualità dei progetti e delle azioni inclusive messe in atto.
Dario Ianes è Docente ordinario di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano (Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria) e co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento, per il quale cura alcune collane, tra cui le Guide e i Materiali. È Autore di vari articoli e libri e direttore della rivista «Difficoltà di Apprendimento».