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(voce di Luca Grandelis)Incontriamo Diego De Silva presso la Libreria Feltrinelli di Caserta, giovedì 28 febbraio 2013, in occasione della presentazione del suo ultimo libro, Mancarsi (ed. Einaudi; l’evento, moderato da Carla D’Alessio, scrittrice, è organizzato da 19.11 Produzioni). In mezzo ai tanti convenuti che affollano la sala, troviamo a malapena lo spazio per chiacchierare un po’ con lui di letteratura, di amore, della felicità.
De Silva è autore brillante dallo stile peculiare, non solo quando scrive: il suo parlato forbito, sovente accompagnato dal dialetto, è accattivante e tiene viva l’atmosfera per quasi due ore, tra aneddoti, riflessioni, aforismi e boutade. Nelle pause si dà un’occhiata alla copia di Mancarsi appena acquistata, alla quarta di copertina, alle prime righe, qualcuna letta dal mezzo. La prima cosa che salta all’occhio è l’assenza di Vincenzo Malinconico, il personaggio che ha abitato gli ultimi tre romanzi.
Così gli chiediamo se si tratta di un litigio fra innamorati, o piuttosto di una separazione consensuale e definitiva. «È solo una vacanza – fa lui – Vincenzo tornerà. Non so bene neanch’io quando, probabilmente sarà lui a farsi vivo, com’è sempre avvenuto finora».
È un’evoluzione lunga e complessa quella che emerge nel percorso che da Certi bambini, suo primo successo (che lo ha condotto al cinema per la regia dei fratelli Frazzi) lo porta oggi a scrivere una storia nella quale, per così dire, la prima a «mancare» è proprio la storia. «Sono più interessato alle situazioni che alle storie in quanto tali» ci dice, al che viene spontaneo obiettare che finora questa propensione, se c’è stata, si è notata ben poco: nei suoi romanzi non solo la trama ha un posto di rilievo, ma si spinge a tratti fino al giallo e alla suspense. E lui replica: «a volte ovviamente si ha bisogno di una struttura, è ovvio. Semplicemente, quando dico che sono più uno scrittore di situazioni, intendo dire che sono narrativamente più interessato alla trattazione di ciò che c’è intorno alla storia, anziché alla storia in sé. Non sono uno strutturista, direi piuttosto uno che si infila negli angoli, ecco».
E in quegli angoli, in effetti, può celarsi di tutto: una scrittura originale, impegnata, divertente. A volte tutte e tre le cose, allo stesso tempo. Qual è il segreto? «Be’, questo è molto difficile da dire, bisogna trovare la propria voce e lo si fa di libro in libro lavorando, come tutte le cose». Dopodiché aggiunge che la letteratura richiede non solo un tale sforzo, ma anche un grandissimo ego.
Non ci vorrà anche dell’umiltà, almeno un pizzico, nel ‘mettersi su carta’, nell’esporsi alla critica pubblica, nell’accontentarsi del costante scarto tra ciò che si sente di essere e ciò che si riesce a mostrare in parole? «In effetti è un miscuglio di entrambe le cose, e questo è proprio ciò che rende l’attività dello scrittore tanto difficile da gestire: bisogna saper essere un po’ cretini e un po’ intelligenti. Potrebbe sembrare facile, ma non lo è affatto».
E questa consapevolezza accresce l’ego. «Certamente. Ma in parte lo ridimensiona: ti trovi in una situazione in cui non puoi essere completamente compiaciuto, devi per forza trovare un compromesso fra entrambi i registri».
De Silva continua a parlare di sé, dei suoi romanzi, del suo modo di intendere la vita a un pubblico che di lì a poco – alla fine della lettura dei brani curata dagli attori Ilaria Delli Paoli ed Emilio Vacca – farà un quarto d’ora di fila per ricevere l’agognato autografo. Ma ciò che più spicca nel suo discorso è il modo ‘tragico’ di intendere l’amore, un amore destinato all’infelicità e che, anche quando regala felicità, lo fa sempre in maniera postuma, nel ricordo, mai nel presente: a titolo di esempio cita i tanti matrimoni – a suo dire, la stragrande maggioranza – che rinchiudono gli innamorati in una gabbia di tristezza, cui spesso ci si abitua o ci si rassegna ‘per convenienza’. Sembra quasi – per quanto strano possa sembrare – che stia parlando della letteratura come di un’alternativa, o addirittura di qualcosa di sostitutivo dell’amore. Così, per toglierci il dubbio, lo domandiamo direttamente a lui. «Non credo assolutamente che l’amore e la letteratura possano essere antagonisti. Esistono felicità differenti che si sviluppano in ambiti diversi. Come dire: vivere e scrivere sono due cose che non necessariamente hanno a che fare tra loro». Una risposta senza mezzi termini che ci fa riprendere fiato. «Tuttavia – conclude – è vero che l’amore felice non esiste. Le storie d’amore non possono mai essere felici – spiega citando Busi – tutt’al più possono esserlo state».