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(voce di Luca Grandelis)Augusto Cavadi (www.augustocavadi.eu) è filosofo consulente (riconosciuto da «Phronesis») e teologo laico (socio dell’Associazione teologica italiana). Tra i suoi scritti: Fare teologia a Palermo (1986), Le nuove frontiere dell’impegno sociale, politico, ecclesiale (1992), Il vangelo e la lupara (1995), E, per passione, la filosofia (2006), In verità ci disse altro (2009), Il Dio dei mafiosi (2009), Chiedete e non vi sarà dato (2010), Filosofia di strada (2010), Non lasciate che i bambini vadano a loro (2010), La bellezza della politica (2011). L’ultimo titolo (Il Dio dei leghisti, 2012) è stato edito dalla San Paolo di Cinisello Balsamo (Milano).
Grazie innanzitutto per aver accettato questa intervista. È passato con il Suo ultimo libro dall’indagine sul «Dio dei mafiosi» a quella sul «Dio dei leghisti»: un passo quasi naturale, scrive, rivelatore di tante similitudini ma anche di grosse differenze.
Quando una formazione politica (anche la mafia, a suo modo, lo è) si avvicina al potere, in Italia non può evitare di fare i conti con la Chiesa cattolica: per abbindolarla, se può; per minacciarla, se deve; in ogni caso, per utilizzarla come instrumentum regni. Il quadro è reso più drammatico, talora più divertente, comunque più complesso, dalla tendenza corrispettiva della Chiesa cattolica a fare altrettanto per rafforzare la sua egemonia culturale sulla popolazione. Sinora la storia attesta che, sulla breve distanza, vincono le formazioni politiche ‘laiche’ (Impero Romano, Carolingi, Napoleone, Monarchia sabauda, Fascismo, Mafia, Democrazia cristiana, Berlusconismo, Lega…), ma – sul lungo periodo – la Chiesa cattolica sopravvive al tramonto definitivo dei suoi avversari e aspiranti complici.
Quella dei leghisti è una religiosità in cui l’etica del lavoro e della «roba» viene prima di tutto il resto, fino al rifiuto dell’immigrato e all’odio per lo zingaro (simbolo del disprezzo del «lavoro come valore in sé»). Com’è possibile che l’incompatibilità con il cristianesimo (ed il cattolicesimo in particolare) non balzi all’occhio in maniera lampante?
Nella formulazione della domanda c’è già, implicita, la risposta. Lei si esprime, come sarebbe esatto in teoria, individuando nel cattolicesimo un sottoinsieme del cristianesimo. Ma, in pratica, non è così. Il cristianesimo (intendendo con ciò il messaggio originario di Gesù come è stato interpretato e codificato nei primi cento anni dalla sua dipartita) si è spezzettato in tanti rivoli quante sono le confessioni cristiane: cattolica, greco-ortodossa, anglicana, luterana, calvinista… Si tratta di ‘specie’ differenti all’interno del medesimo ‘genere’? Apparentemente sì. Se poi si scava un po’ più a fondo, si scopre che il vangelo iniziale è stato non solo interpretato, elaborato e attuato in altrettante tradizioni ecclesiali, ma anche tradito, deformato. Il cattolicesimo non fa certo eccezione. Esso è il prodotto di una trasformazione bimillenaria del vangelo attraverso i filtri della logica greca, del diritto romano, della morale borghese, dell’economia capitalistica… È un prodotto migliore o peggiore del progetto iniziale? Non saprei. Dico solo che, certamente, è un’altra cosa. Gesù stenterebbe molto a dirsi cattolico nel senso di latino, ‘romano’, vaticanocentrico. Ecco, dunque, per fare in breve un ragionamento che ci porterebbe lontano (e che ho provato a presentare nel mio libro In verità ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani), molti cattolici (più cattolici che cristiani) non hanno nessuna difficoltà a sposare alcuni valori del leghismo, mentre altri cattolici (più cristiani che cattolici) ne subodorano a naso l’inaccettabilità.
Roberto Zaffo, coordinatore leghista, ha proclamato il «nuovo vangelo della Lega», nel quale il «prossimo» non è il fratello bisognoso (immigrato, profugo, ecc.) bensì «chi ci è vicino, chi ci assomiglia, chi ha in comune con noi dei valori». Più chiaro di così.
Più chiaro di così si muore. E infatti il leghismo si diffonde in terre dove il cristianesimo è agonizzante, se non già defunto. Non per caso si radica nelle zone più ‘bianche’ del Settentrione italiano, dove il cattolicesimo aveva già metabolizzato (e con ciò stemperato, anestesizzato) le istanze rivoluzionarie del messaggio cristiano. Si era trasformato nell’ideologia ‘moderata’, perbenista, tendenzialmente qualunquista di una delle area geografiche più benestanti del pianeta. Berlusconismo e leghismo hanno avuto il merito – non indifferente – di far cadere le maschere dell’ipocrisia: come cartine di tornasole, hanno rivelato in maniera evidente e sfacciata ciò che la maggioranza ‘silenziosa’ pensava da anni. Che, cioè, il cristianesimo è un’utopia adatta a qualche minoranza ingenua o stravagante: sobrietà nell’uso delle ricchezze, condivisione con gli affamati della terra, contemplazione meditativa della bellezza, rispetto della sacralità dell’ambiente naturale, adozione della nonviolenza come metodo di risoluzione dei conflitti… sono tutte favole per ragazzini. Ciò che conta è l’accumulazione del denaro, lo sfruttamento (non esagerato) dei popoli inferiori, la mercificazione dei corpi, il dominio sulle risorse naturali, la fabbricazione e il commercio delle armi più sofisticate…
Monsignor Fisichella ha dichiarato, qualche tempo fa: «quanto ai problemi etici, mi pare che la Lega manifesti una piena condivisione con il pensiero della Chiesa». Per carità, ci dia una mano, ché questa proprio non la capiamo.
Sono desolato, ma non posso dare nessuna mano. Dichiarazioni come queste riescono incomprensibili anche a me. Poi le collego ad altre tesi del medesimo monsignore – per esempio la necessità di ‘contestualizzare’ le bestemmie di Berlusconi o la legittimazione del suo accostamento al sacramento dell’eucarestia perché, dopo la separazione dalla seconda moglie, non si era legato stabilmente a nessuna donna e quindi non dava scandalo pubblico – e intuisco qualcosa. Ma c’è ancora nebbia all’orizzonte. O forse mi rifiuto di vedere ciò che sarebbe evidente: che – come diceva un certo Jeshua di Nazareth – si può essere ciechi e presumere di farsi guida degli altri. Forse non è un caso che il poeta più cattolico e teologo di ogni tempo – Dante Alighieri – abbia popolato il suo Inferno di papi, cardinali, vescovi e preti.
Quali elementi intrinseci al cristianesimo ritiene che possano prestare il fianco a distorsioni tanto madornali? Ci sono forse punti deboli (o ambiguità) nel cristianesimo, tali da condurre a deviazioni simili? Insomma: non è forse un po’ anche colpa di una certa mentalità cristiana, se certi atteggiamenti possono spingersi fino a diventare tanto sistematici e diffusi, spacciando in più se stessi per «cristiani» (corresponsabilità che Lei individuò nel caso della mafia, di cui parlò qui: http://goo.gl/HfbMo)?
Ho scritto e pubblicato il libro mesi prima dell’esplosione degli ultimi scandali che coinvolgono Bossi e il suo cerchio magico, ma – come ricordava poco fa anche Lei – avevo osato notare, accanto a chiare differenze, delle inquietanti somiglianze fra il sistema di potere mafioso e il sistema di potere leghista. Nell’uno e nell’altro caso, non c’è dubbio che la dottrina e la prassi cattolica (non direi, per le ragioni che ho esposto poco fa, sic et simpliciter il cristianesimo) offrono il fianco ad essere strumentalizzate dalle cosche e dai carrocci. Se non la marchiamo troppo, ci può soccorrere la differenza teologica fra fede e religione. La fede è un atteggiamento intimo, libero, autentico, esposto ai venti della vita come ogni legame appassionato; la religione è la manifestazione esteriore e sociale, pubblica ed istituzionale, della fede. La fede non può fare a meno di una religione, ma deve stare attenta a non restare prigioniera della sua stessa casa. Che mi costruisca una tenda nel corso del mio viaggio terreno è comprensibile, forse inevitabile; ma se mi ci affeziono al punto da voler restare per sempre accucciato nella tenda costruita da me, o ereditata dai miei avi, rischio di rinunziare al viaggio stesso. Ho trasformato il mezzo in fine. Ogni volta che il cristianesimo si è trasformato da fede in religione ha offerto – e continua a offrire – il fianco a ospiti indesiderati.
In chiusura del volume, propone una terapia (perché evidentemente la teologia leghista non può essere trattata che come una malattia): in che cosa consiste?
Non entro nei dettagli della terapia perché spero che i lettori di questa intervista siano stati abbastanza stuzzicati da desiderare di… acquistare e leggere il libro. Comunque, fuori dal registro umoristico, direi che il cuore della terapia è aiutarci gli uni con gli altri a riscoprire la radicalità evangelica. A convertirci da un vago buonismo filantropico – una sorta di sommatoria di egoismo legale e beneficenza festiva – alla sfida dell’agape: dell’amore incondizionato verso l’indigente in quanto indigente (non in quanto cattolico o in quanto umile o in quanto simpatico o in quanto apprezzabile da qualsiasi altro punto di vista). Vorrei essere chiaro. Ognuno è libero di vivere la vita secondo un certo progetto filosofico, etico, politico. In democrazia c’è spazio per i progressisti come per i conservatori; per i mondialisti come per i nazionalisti; per chi ritiene che l’umanità sia una sola razza e per chi divide l’umanità in razze; per chi gode nella misura in cui fa fiorire la vita altrui e per chi gode quando accumula per sé e per i propri familiari… L’unica cosa che non ci è lecita – non ci è permessa dall’onestà intellettuale – è di mischiare le carte. Se sono cristiano devo sapere che cosa implica il primato del «regno di Dio» rispetto alla volontà di autoconservazione e di dominio e, quindi, decidermi: o rinnegare il cristianesimo o rinnegare le ideologie egocentriche, familistiche, tribali. Con ciò non intendo affermare che si può proclamare cristiano solo chi è perfetto, senza difetti, tutto dedito alla giustizia. No: non è questo il bivio. Personalmente distinguo chi aspira ad essere un uomo di pace, di condivisione, di promozione sociale (e, non riuscendovi con coerenza, si dispiace della distanza fra sé e il proprio progetto di vita) e chi rinunzia ad ogni aspirazione ma insiste nel dirsi cristiano (e, non volendo adeguare sé al messaggio evangelico, abbassa il messaggio evangelico al proprio livello). Quando osservo la mia stessa esistenza, trovo che essa è molto distante dall’altruismo, dall’attitudine al servizio, dalla tenerezza agapica verso gli sfruttati della terra: ma spero di concentrare la mia attenzione a diminuire la distanza fra la mia vita e l’utopia cristiana, senza cedere alla tentazione volgare di ritradurre il messaggio evangelico in modo che possa adattarsi alle mie piccole categorie borghesi di privilegiato della storia.