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(voce di Luca Grandelis)Quando una parola, un concetto, un’aspirazione sono tanto storicamente abusati e confusi – come è accaduto con il termine «pace» – la prima cosa da fare per non equivocare è sgomberare il campo dalle ambiguità, dai singificati malintesi accumulatisi nel tempo fino a far quasi sembrare che una cosa possa essere o contenere tutto e il contrario di tutto.
Prima di entrare nel vivo della trattazione del volume Filosofia e pace. Profili storici e problematiche attuali, a cura di Ilaria Malaguti (ed. Fara, 2000), iniziamo dunque con qualche chiarimento: la pace non è, come si dice, un esercizio di vaga tolleranza (che funziona fino a che ciascuno rimane al posto proprio, senza avere a che fare realmente con l’altro); né è unanime accordo di consensi (non ci si può attendere nessun accordo unanime in un mondo popolato da sette miliardi di persone; né – data la grande differenza fra i singoli, i gruppi, i popoli – si può sperare nell’uguaglianza, se non mediante la costrizione). Piuttosto è riconoscimento e accettazione dell’alterità, accettazione dell’esistenza di una tensione con l’altro polo (cioè, questa alterità) e ferma determinazione a non distruggere nessuno dei poli in questione.
Da ultimo, la pace non è una cosa che si conquisti una volta per tutte, ma un movimento continuo che si mantiene con un’adeguata disposizione «filosofica». La filosofia rivela così il suo volto pratico nella prassi pacifica (più che pacifista; il pacifismo è ancora una teoria, o una tappa intermedia); ma anche nello smascherare la guerra, soprattutto quando questa vuol presentare se stessa come inevitabile.
Il libro esamina la nozione di pace nel mondo greco come quella dell’epoca globalizzata; dall’idea di pace come mantenimento dell’ordine alla solidarietà e alla giustizia, sorelle della pace; non tralasciando la riflessione politica e perfino estetica sull’argomento. Ciò tramite l’analisi di prospettive distanti e diverse: da Bonaventura a Rosmini, a Derrida e a Celan; da Italo Mancini a Edith Stein e Simone Weil; tra le quali non possono mancare quelle dei più classici tra i filosofi della guerra e della pace: il Thomas Hobbes della guerra di tutti contro tutti e il paladino della pace perpetua, Immanuel Kant.
La pace, dicevamo, è uno dei luoghi in cui – più che in altri – la filosofia è direttamente chiamata in causa come motrice e creatrice di cose concrete e urgenti. Come ricorda la curatrice, nel suo contributo dal titolo «Attraverso i volti, la dimensione della pace», la pace non è né un mero residuo della guerra (ciò che rimane quando è proprio diventato impossibile spingere oltre il conflitto), né tanto meno l’esito di una guerra di annientamento (immagine resa celebre da Tacito nell’Agricola, per bocca del barbaro Calgaco, che parla dei Romani come di coloro che «dove fanno il deserto, dicono che è la pace»).
Agli antipodi di una visione «statica» della pace il volume offre una risposta «dinamica» in cui la pace va pensata, progettata e realizzata, collettivamente, e della prassi comune si nutre la riflessione negli sviluppi successivi, in un circolo vitale (non vizioso – come ha spesso spiegato il filosofo catalano Raimon Panikkar, grande teorico della philosophia pacis) che non è destinato a recare grandi tomi di speculazioni pacifiste, ma a portare la pace in terra agli uomini di buona volontà.
I. Malaguti (a cura di), Filosofia e pace. Profili storici e problematiche attuali, ed. Fara, 2000, pp. 190, euro 13,94.