Benvenuto Antonello, hai girato mezzo mondo in moto. Come queste esperienze hanno influenzato la tua musica?

Viaggiare, in qualunque forma, è un’esperienza che apre la mente e ti fa scoprire quanto il mondo sia veramente vario, diverso negli usi, nei costumi, nei credi, e vi assicuro che non è un concetto così largamente recepito. Tutto questo influenza certamente prima di tutto te stesso e, di conseguenza, anche la tua musica. Sono rimasto stregato dalle canzoni dolcissime ascoltate in Polinesia, che incantano, oserei dire, come il canto delle sirene. La musica che ho sentito per strada in Giamaica ha ritmi che arrivano da molto lontano, mentre lo zouk che si ascolta e si balla in Guadalupa ha quel sapore di rum, un retrogusto nascosto che ti fa ballare. Potrei continuare a descrivere musiche e culture diverse, che poi, incredibilmente, si contaminano e sedimentano dentro il proprio inconscio. Ma quando ho attraversato l’America in moto, con la musica country di sottofondo, solo a ripensarci mi viene la pelle d’oca. Stiamo parlando di musica: la musica, in tutte le sue forme, per me è la voce dell’anima.

Il brano “Harley & Davidson Legend” sembra essere molto personale. Puoi raccontarci come è nata l’idea?

L’idea è nata perché, dopo tanti anni in moto con tanti tipi di moto, finalmente mi sono preso una Harley-Davidson. Sono stato paracadutato in questo universo per me nuovo, tutto da scoprire, e ho voluto andare a scoprirne le origini per capire il motivo del suo successo. Ho scoperto legami affini con il mondo della musica: amicizia, condivisione, passione. Queste emozioni mi hanno portato inevitabilmente a scriverci sopra una storia. Due passioni che si sono incontrate, scontrate, fuse, facendo nascere una ballad che sa di acciaio, di asfalto e di cuore.

Come descriveresti la sensazione di libertà che provi in moto, e come hai cercato di riprodurla in questo brano?

Andare in moto, qualunque essa sia, trasmette un senso di libertà, di avventura, di scoperta. Si vive la strada e tutto quello che la circonda a pelle. In moto prendi il freddo, la pioggia, il caldo; i viaggi impegnativi diventano stancanti, ma è proprio questo che si condivide e ci accomuna tra motociclisti. Quando ci incrociamo ci salutiamo senza conoscerci, non serve spiegare nulla, e la confidenza è immediata. Nel brano, il senso di libertà ho cercato di farlo rivivere nell’ariosità della melodia. La storia parla di una leggenda; la musica che la accompagna descrive le emozioni e, come tutti i brani, bisogna ascoltarli con il cuore oltre che con le orecchie.

Il tuo stile di vita sembra rispecchiare il modo in cui componi. Quanto è importante per te che musica e vita siano allineate?

Complimenti per la domanda. Con stupore vedo che dalla mia musica emerge questa affermazione: per me è il miglior complimento che si possa fare. Vuol dire che sono riuscito a comunicare come volevo. Credo che ogni forma d’arte autentica porti con sé questo legame tra il proprio vissuto emozionale e il risultato finale. In altre interviste ho cercato di spiegare che per me ogni canzone è come una radiografia dello stato d’animo; la musica di una canzone congela in eterno quel momento emozionale. Il mio stile di vita è caotico: faccio tantissimi chilometri in macchina per lavoro, a ritmi pressanti che ti portano a terminare le giornate stanchissimo. A questo tran tran alienante si alternano weekend di totale relax, fondamentali per ricaricare le batterie, ed è in questi momenti che tutto torna fuori, tutta questa energia che si accumula poi si scarica a terra. La musica diventa una pausa dentro una battuta nello spartito della vita. Ho molti brani autobiografici che raccontano storie di alberghi e cene solitarie, o di chilometri di asfalto passati al telefono, dove è la solitudine a farti compagnia.

Ci sono altre passioni o interessi che influenzano la tua musica o che vorresti esplorare in futuro?

Purtroppo o per fortuna, per me tutto influenza la musica: dai piccoli gesti quotidiani, ai rumori mattutini del mio quartiere, alle rughe sul volto di un anziano che ti guarda in silenzio ma vedi che vorrebbe scambiare con te due parole, agli umori del mondo, alla macchina nuova del mio amico comprata di quarta mano, fino alle stelle senza nome. Cosa mi riserverà il futuro non lo so, ma sono certo che avrò sempre un motivo per scrivere una canzone.

Il tuo stile di vita riflette una certa filosofia di libertà e avventura. Come cerchi di trasmettere questa filosofia al tuo pubblico?

Anche se dietro i miei brani ci sono sempre delle emozioni, e spesso le storie sono personali o di persone vicine, non esplicito particolarmente questi aspetti, nascondendoli dietro parafrasi o frasi liberamente interpretabili. Penso che chi ascolta volentieri una mia canzone ne colga un proprio personale significato, ed è giusto così. Io voglio regalare delle emozioni; se queste arrivano ho raggiunto il mio obiettivo. Non ho la pretesa di trasmettere la mia filosofia, perché ritengo che ognuno di noi debba maturare le proprie convinzioni ed esperienze. Se il mio pubblico è interessato a conoscere il mio pensiero, ne sarei onorato e orgoglioso di parlarne, ma questo mi piacerebbe farlo creando un rapporto con il mio pubblico, magari sui social, dove spesso arriva un importante ma sterile “ditone”. Quello che per il momento per me è solo un sogno sarebbe poter fare un live dove racconto il retropensiero, la parte segreta e intima di una canzone, prima di cantarla. Capire quanta profondità c’è dietro un brano di un artista e tutto questo oggi cozza con quanto si vede, si ascolta e viene richiesto.

Quali sono i tuoi consigli per chi cerca di trovare un equilibrio tra le proprie passioni e la vita lavorativa?

Vista la premessa nella risposta precedente, adesso mi hai messo all’angolo e devo fare lo psicologo. Comincerei a mettere ordine alle parole della domanda: vita lavorativa non è vita, le passioni invece sì, sono il motore della vita stessa. Il lavoro è importantissimo, va fatto con serietà e diligenza, serve al nostro sostentamento, ma scommetto che se potessimo farne a meno lo eviteremmo tutti. “Si vive per lavorare o si lavora per vivere” è una frase fatta ma perfetta per rendere l’idea. Il lavoro serve anche per finanziare e sostenere le passioni, e le passioni sono quel modo di impiegare il proprio tempo facendo qualcosa che ci appaghi; per me sono l’antidoto alla noia, e per me la noia è peggio della morte. Dobbiamo darci degli obiettivi, e se lo facciamo insieme ad altre persone ancora meglio. Quello che ci fa crescere, che ci appaga, sono le esperienze; queste ci arricchiscono più dei soldi. Io, purtroppo, ho il difetto di avere tante passioni: comincio ad avere bisogno di un mixer per passioni, in modo da regolare bene i vari canali. Il lavoro contribuisce ad alimentare tutto questo, ma le due cose vanno giustamente bilanciate. Ho perso mio padre da giovane e questa esperienza mi ha portato a maturare una filosofia che è diventata la mia linea guida: mi ripeto sempre “oggi ci sono e domani non lo so” e quindi cerco di cogliere al volo tutte le occasioni che mi stimolano. Adottando questa filosofia ogni giorno, nel limite del possibile, dopo tanti anni ti accorgi di aver fatto tanto e di aver avuto tanto dalla vita, al punto di poter dire che va bene così. Mi ritengo appagato e penso che sia tanto poterlo ammettere.