Lo storico Roberto Balzani in dialogo con il giornalista Claudio Ossani e la storica Chiara Cenni

Il 4 agosto 1849 a Mandriole, muore Anita, la rivoluzionaria e moglie di Giuseppe Garibaldi. Tante le commemorazioni e i testi a lei dedicati soprattutto in Romagna, dove ha combattuto insieme a lui nel tentativo di sfuggire a ben quattro eserciti: quello degli austriaci, quello della Francia, della Spagna e del Regno delle Due Sicilie, nel tentativo di raggiungere Venezia. Tante le commemorazioni che si sono susseguite in suo onore, a partire dal 1859, sia per il coraggio di questa ragazza disposta a morire per gli ideali di democrazia repubblicana sia per lo spessore del suo personaggio così singolarmente in anticipo sui tempi nell’emancipazione femminile. Tanto che la storiografia più recente tende a valorizzare sempre di più la valenza di combattente a fianco di Garibaldi anziché considerarla solamente la sua compagna di vita, fedele e innamorata fino alla fine.

Le celebrazioni su Anita Garibaldi organizzate il 4 agosto scorso a Casa Guiccioli di Mandriole dalla Fondazione Ravenna Risorgimento e dalla Federazione delle Cooperative della Provincia di Ravenna, hanno dato occasione di un approfondimento sulla figura di Anita e Giuseppe Garibaldi, sul Risorgimento e sui luoghi ad essi legati.

Se ne è parlato attraverso il testo di Roberto Balzani (nella foto in basso), Andare per luoghi del Risorgimento, edito da Il Mulino, nella Collana Ritrovare l’Italia, 2024. Balzani è docente di Storia Contemporanea alla Facoltà di Beni Culturali dell’Università degli Studi di Bologna – sede di Ravenna, oltre ad essere presidente del Museo della Liberazione di via Tasso a Roma. 

Roberto Balzani, autore del testo Andar per luoghi del Risorgimento photcredit wikipedia

Si tratta di un testo dedicato appunto ai luoghi, dal Capanno Garibaldi a Casa Guiccioli, fino a Sapri e Padula, San Martino della Battaglia e infine a Caprera, nel tentativo di affrancarli una memoria celebrativa e ridondante che ha accompagnato il Paese per tutto il ‘900 e che ora sembra avere esaurito la sua capacità attrattiva.

Intervistato dal giornalista Rai Claudio Ossani e in dialogo con Chiara Cenni, storica del Risorgimento, Balzani ha parlato della possibilità di un approccio al luogo storico che eviti la retorica e aiuti a percepire e riflettere sull’Unità d’Italia in modo nuovo.

Un approccio che prende a prestito il metodo stratigrafico utilizzato nell’archeologia. Casa Guiccioli è un esempio di luogo della memoria stratificata. Oltre alla morte di Anita, qui ci sono stati i partigiani della Divisione Cremona e sempre qui nel 1914 è nata la prima azienda agricola di tipo cooperativo.

Un luogo che è stato punto di riferimento per la storia contemporanea e che, proprio perché deputato alla conservazione della memoria collettiva, non può essere mai originale, intatto, intonso, ma al contrario, costituito da strati di quel bios che lo ha vissuto e attraversato nel corso del tempo.

Altrettanto calzante è l’esempio del Capanno Garibaldi: “Il capanno riscostruito non è quello originale, ma è lo spirito umano ad aver mosso la costruzione di questo oggetto; questo è il fenomeno della comunità che attraverso una serie di azioni mantiene viva la memoria storica di quel luogo. Si tratta spesso di un’azione locale, circoscritta, ma sempre molto efficace sulle coscienze, perché la storia è fatta più dalle persone che dai reperti. A livello nazionale questo tipo di fenomeno è molto meno frequente”.

Altro luogo del Risorgimento citato da Balzani all’incontro è quello del Forte Marghera, dove era diretto Garibaldi per far cadere la città di Venezia. Di origine napoleonica e immerso in un paesaggio di valli e paludi simile a quello di Mandriole, oggi ospita spazi naturalistici e di aggregazioni giovanile, perfettamente integrati nell’area del forte rimasta intatta.

Se si va per luoghi del Risorgimento, non si può non pensare ai luoghi della sepoltura di Anita e Giuseppe. Mentre la prima ha conosciuto un tribolato peregrinare, dalla frettolosa sepoltura a Mandriole fino all’arrivo di Garibaldi che insieme ai figli e a Nino Bixio porta il corpo a Nizza, dove rimane fino al 1931. Poi i resti vengono prelevati e sistemati provvisoriamente al Pantheon del Cimitero di Staglieno, a Genova, per poi essere trasferita definitivamente per volere di Mussolini, nel 1932, al Gianicolo, a Roma.

Garibaldi, invece, aveva espresso volontà ben precise sulla sua morte, chiedendo di essere bruciato, non nei forni crematori, ma all’aperto, con legni di mirto e acacia, per conferire un’aura ancora più eroica di quanto già presente mentre era ancora in vita. Non viene però accontentato, per via dei pregiudizi dell’epoca su questa pratica. Il corpo, quindi, dopo la morte avvenuta il 2 giugno 1882, viene sepolto a Caprera, che diventa subito méta di pellegrinaggio. “Attraverso l’archeologia di un luogo– dice ancora Balzani – ho cercato di recuperare l’interesse delle nuove generazioni verso il Risorgimento. Partendo dagli spazi, da ciò che è rimasto e da ciò che circonda questi luoghi, riconfigurando le domande che danno origine a una riflessione”.

L’accademico sottolinea come Casa Guiccioli diventi luogo della memoria collettiva a partire dall’Unità d’Italia e non prima. Nel libro, prosegue Balzani, oltre a parlare del contributo e del significato dei luoghi della memoria per la storia repubblicana, si parla anche dello spessore della figura di Anita, “questa giovane donna proiettata su una storia molto più grande di lei”.

Ma Anita potrebbe essere considerata una protofemminista, anche se storicamente ancora lontana? “Tutta la vita risorgimentale – risponde Balzani – fin dalla Giovine Italia, è stata proto qualcosa, per il suo spirito di indipendenza che interessava anche il modo di vivere le relazioni umane e questo riguarda anche il personaggio di Anita”.

Una domanda che non poteva mancare, infine, riguardo il possibile legame tra Risorgimento e Resistenza, soprattutto alla luce di quei luoghi del primo che successivamente lo sono diventati anche della seconda, quali Casa Guiccioli e se sia necessaria una battaglia archeologica al riguardo: “Sì, l’analogia c’è – risponde Balzani – perché abbiamo a che fare con oggetti parlanti e sarebbe interessante allestire una esposizione di oggetti dell’uno e dell’altra per mostrarla. Penso al panino del partigiano su cui scrive con la forchetta coraggio mamma e che giunge miracolosamente a destinazione, per poi essere donato al Museo della Liberazione, che io trovo simile al significato del Pane di Venezia”.

Balzani conclude il suo intervento, sostenendo che “è importante raccontare storie attraverso oggetti superstiti che suscitino emozione, solo così la memoria rimane viva. Le celebrazioni rievocative non ci riescono più, rischiano di essere testimonianze obsolete”.

Alle parole dello storico si aggiungono le considerazioni di carattere politico-sociali di Eugenio Fusignani, presidente della Fondazione Ravenna Risorgimento e vicesindaco di Ravenna che ha ricordato la nascita e l’evoluzione del partito repubblicano ispirato ai valori risorgimentali, dalle origini al secondo dopoguerra: “È nato nel 1895 nella sua veste di partito ma, in quanto strumento politico del pensiero mazziniano, la sua è di fatto una presenza ben più datata, che coincide almeno alla fondazione della Giovine Italia del 1831. In quella Italia l’area di appartenenza era quella della sinistra estrema, che condivideva in confronto competitivo con il Partito Socialista e il movimento Anarchico. Successivamente, negli anni ’50 del ‘900 è iniziato un profondo dibattito interno sulla necessità di modernizzare il partito insieme al Paese, mortificato dal regime e distrutto dalla guerra. Nella sua naturale essenza antifascista, innervato dal pensiero azionista di Ugo La Malfa, diviene di fatto il Centrosinistra”.

 

Queste le sue conclusioni sull’importanza di mantenere viva la memoria sul Risorgimento: “C’è ancora molto da fare e c’ è bisogno di chi ha radici profonde in un passato senza il quale non si può affrontare il futuro con le necessarie garanzie. In una società sempre più distratta dalle piattaforme virtuali; dove oltre il 50% degli aventi diritto diserta le urne; dove l’insulto e l’invettiva con slogan urlati valgono più dei ragionamenti ponderati, in tutto questo serve più che mai riportare la Politica come alto magistero al centro del dibattito”.

 

Al termine dell’incontro, alla Sala Convegni di Casa Guiccioli il pubblico ha assistito alla recita di una parte del monologo scritto da Valeria Magrini, intitolata L’Attesa e dedicata ad Anita Garibaldi, interpretato da Asia Galeotti e diretto da Emanuele Montagna.

A cura di Anna Cavallo