Da oltre quattro secoli la filosofia occidentale si arrovella intorno al quesito posto in maniera al contempo semplice e «definitiva» da Cartesio: e se un genio maligno ci ingannasse? Da questo scoglio temibile prende l’avvio la riflessione filosofica di Luca Taddio, docente di Estetica all’Università di Udine, racchiusa nel libro Fenomenologia critica. Saggio sull’esperienza immediata della cosa (ed. Mimesis, 2011).
Con la sua problematizzazione Cartesio sembra mettere in dubbio non solo le nostre attuali percezioni e convinzioni, ma tutte le possibili percezioni e convinzioni. L’idea è così suggestiva (mentre sembra insuperabile, se non con la deliberata scelta di optare per il rifiuto tout court dell’ipotesi del genio) da essere stata più volte ripresa recentemente, sia in filosofia – da Hilary Putnam, col suo celebre esempio del cervello immerso in una vasca – sia al cinema, dal famoso film «Matrix»: in entrambi i casi all’uomo (o a quel che ne rimane: il cervello, appunto) sembra di interagire con una realtà esterna che di fatto non esiste, ma viene creata ad arte da entità aliene.
Insomma, l’ostacolo sembra insormontabile: pare non esserci modo di distinguere una percezione provocata da un oggetto «esterno» da una percezione indotta neurochimicamente all’interno della corteccia cerebrale. In questo punto si inserisce l’intuizione di Taddio: nell’impossibilità di stabilire la causa metafisica della percezione, non resta che attenersi alla percezione stessa. Cioè al fenomeno. Taddio sfrutta un cortocircuito poco evidente del «dispositivo del genio maligno», che lo porta addirittura a fare propria questa ipotesi (per poi superarla): ammesso anche il caso peggiore, e cioè che un genio maligno ci stia ingannando proprio in questo momento, nascondendoci la genuina realtà dei fenomeni e dandoci in pasto meri fenomeni, non di meno esso non può farlo a casaccio, ma sarà «costretto» a farlo mettendoci di fronte a fenomeni riconoscibili (altrimenti, dove nulla è riconoscibile e comprensibile, neanche l’inganno può venir perpetrato). Su questa necessaria regolarità costitutiva del mondo fenomenico l’autore fonda la sua proposta di una fenomenologia (eretica, in quanto intende rimanere disancorata da qualunque metafisica; se poi questo approccio fenomenologico radicale possa offrire a sua volta sviluppi metafisici successivi, non potrà essere che l’autore a dirlo, magari in un prossimo studio).
Il linguaggio di Taddio è singolarmente chiaro e lineare, considerata soprattutto la particolarità della trattazione, intrisa di fenomenologia e di epistemologia e in dialogo con autori quali Merleau-Ponty, Wittgenstein, Severino, Husserl. La densità dei contenuti è alleggerita da un lungo capitolo finale scritto in forma di dialogo tra un metafisico e un percettologo. Certamente da consigliare, pur con l’avvertenza che si tratta di un saggio da studiare più che da leggere, e che richiede più di un’infarinatura di fenomenologia e di filosofia del linguaggio. Con una Prefazione di Giorgio Derossi e una Postfazione di Marcello Losito.
L. Taddio, Fenomenologia eretica. Saggio sull’esperienza immediata della cosa, ed. Mimesis, 2011, pp. 400, euro 28.