Massimo Scrignòli, Vista sull’angelo
(Book Editore, 2009, pp. 96, € 15,00 – ISBN 978-88-7232-635-0)
Il bibliofilo che ha sviluppato un sano feticismo per l’oggetto-libro non rimarrà immune al fascino della preziosa veste grafica di questo libello di Massimo Scrignòli che, poeta e traduttore – sua una versione e una introduzione critica ai racconti di Kafka in Relazione per un’accademia e altri racconti (Book Editore, 1997) -, è pure editore di se stesso. Acquistano così un significato e uno spessore ragguardevoli non solo la parola ma la scelta dei caratteri e della carta per la stampa, la cura artigianale per la quale si annota «rilegato da mani femminili», premura di vestali che custodiscono la sacralità del rito officiato per il lettore, destinatario ultimo ed esclusivo dell’opera.
Anche la scelta del particolare in gouache, grafite e acquerello che campeggia in sopraccopertina non è casuale. Si tratta di un’opera di Carlos Schwabe dei primi del ‘900, e ritrae un angelo della Morte in sembianze femminili mentre si palesa ad un becchino che crede di prepararsi a seppellire un altro candidato al mondo dei più. Scrignòli concepisce in Vista sull’angelo un «racconto in versi» ch’è a tutti gli effetti una sorta di viaggio iniziatico senza meta e senza ritorno, una potente allegoria del ciclo della vita: «Da mille anni l’albero delle pagode | osserva l’Angelo e scolora | tutto il suo infinito.|| Così un’altra vita | subito dopo l’incontro | con la prima morte. [ […]]»
L’albero del verso è il Ginkgo Biloba, di origini cinesi ma diffuso in Europa; può vivere fino a 1500 anni. In Estremo Oriente è un albero di culto, piantato nelle vicinanze dei templi e dei cimiteri. Principio e fine divengono il perno intorno a cui ruota la riflessione sul senso dell’esistere. La prospettiva è ribaltata a piacere e forse il percorso è a ritroso ma non importa: il tempo non è più una dimensione lineare; come in Heidegger è un luogo dove accadono gli eventi, non hic et nunc, qui e ora, ma neanche là e domani. Tutto è consegnato all’eternità e perciò sempre attuale alla meditazione, perché è ad essa e alla conservazione della memoria che il poeta richiama.
Non è agevole imbarcarsi con la spedizione organizzata da Scrignòli in Vista sull’Angelo: si deve necessariamente esser disposti a travalicare i confini dell’umano, «[…] trasumanar che rapisce la vista | e consola»; ogni cosa è al tempo stesso reale e in una dimensione di sogno. L’attualità della poesia di Scrignòli risiede nel suo sintonizzarsi sulle frequenze del mondo contemporaneo, col Male che sta dentro e intorno al pianeta e nella sua Storia. Il punto di partenza è chiaramente lo smarrimento di chi troppo vede e possiede ma non conosce: «La mente | non si avvede dei rapidi oggetti che passano | né la vista trattiene ciò che pure afferra».
L’invito è eloquente in apertura: «[…] per uscire dal mondo dovremo | intuire | decifrare | tradurre», verbi posti in sequenza e a cascata.
Sembra un manifesto programmatico, eppure è solo una delle facce del prisma. Nell’esercizio poetico di Scrignòli la contraddizione assunta come anima della dialettica, le aporie e le sostituzioni/inversioni sono spesso dietro l’angolo («E ai piedi delle foglie»; «Con l’inverno per cappotto») e anche il logos, varcato il limite del suo impiego logico, diviene un orpello. Il racconto/viaggio si snoda lungo cinque stazioni (Senza ritorno, Il cedimento di Dio, Del Sublime, Del Tempo e La Casa) ed ha la mirabile costruzione di un dipinto di Piero della Francesca: la stessa simmetria ed astrazione matematica, lo stesso languore e bellezza della verità che avvertiamo netta, senza bisogno di intermediazioni.
Attraversando la Storia umana, «Uomini | a cavaliere tra ceneri e guerre | è quanto si può vedere, è tutto | quello che si può vedere camminando | sul formicaio distrutto di Auschwitz»; perseguendo la ricerca del Sublime, «e poi tutto ciò che è terribile | è una fonte del sublime»; con l’azzeramento del tempo misurabile, «Il caos, forse, sarà l’unico rimedio | allo sgretolarsi di un’intera stirpe | di radici e terre», si giunge al confine di un mondo altro, dove la «civiltà» degli uomini è solo un pallido ricordo, spodestata da una Natura che si riappropria di quanto le spetta, estirpando strade piazze mura e biblioteche, in un processo di continua rigenerazione. L’enigma è il vincitore supremo: il mistero è l’ultima, definitiva consapevolezza della vita e della morte, prossimo all’ineffabile.
C’è in Scrignòli una inesausta ricerca della parola «esatta», del segno che condensi suono, significato e ritmo. Non è lettura facile, l’ho già sottolineato, ma sorprende come le fonti e le frequentazioni illustri (Dante, Montale, Eliot, Pound, Rilke, Goethe) si amalgamino con naturalezza e fluidità nel dettato poetico, nella sua tensione morale, nella sua polivalenza espressiva e fortemente simbolica. Separare discriminare catalogare potrebbe rivelarsi un esercizio sterile; nella nostra nuova Casa «Il vento adesso è il confine». Molto meglio «sentire» per altra via, come si fruisce della bellezza materica di tanta arte figurativa contemporanea; o ascoltare, magari la musica di Mahler, assai gradita al poeta: «Cenere nebbia e musica | questo sta piovendo sulla strada in rovina. | E dal fuoco cade il nome | scuro di un Angelo. | Sembra | il canto in fuga di un viandante […]»