Il peccato di donna Santa

di
Giovanni Verga

tempo di lettura: 15 minuti


Stavolta il quaresimalista, per far colpo su quelle teste d’asini che venivano alla predica tirati proprio per la cavezza, e poi tornavano a far peggio di prima, immaginò un colpo di scena, che se non giovava quello, prediche o sermoni era tutto come lavare la testa all’asino davvero. Fece nascondere nella vecchia sepoltura, là sotto il pavimento della chiesa, il sacrestano e due o tre altri, cui aveva prima insegnato la parte, e poi disse: — Lasciate fare a me —.

Cadeva giusta la predica dell’Inferno, in fine degli esercizi spirituali, e la chiesa era piena zeppa di gente, chi per un verso e chi per un altro, chi per ordine del giudice (che a quei tempi il timor di Dio s’insegnava colla sbirraglia) e chi per amor della gonnella. Gli uomini a sinistra, da una parte, e le donne dall’altra. Il predicatore montato sul pulpito dipingeva al vivo l’inferno, come se ci fosse stato. E poi a ogni tratto tuonava, con un vocione spaventoso: — Guai! Guai! —

Come tante cannonate. Le donne raccolte in branco dentro il recinto a destra della navata, chinavano il capo sgomente, a ogni colpo, e lo stesso don Gennaro Pepi, ch’era don Gennaro Pepi! si picchiava il petto in pubblico, e borbottava ad alta voce: — Pietà e misericordia, Signore! —

Ma c’era poco da fidarsi, perché ogni giorno, prima di scorticare il prossimo a quattr’occhi, don Gennaro Pepi tornava a mettersi in grazia di Dio, andando a messa e a confessione, e quanti erano alla predica poi, si sapeva che sarebbero tornati a fare quel che avevano fatto sempre.

— Guai a te, ricco Epulone, che ti sei ingrassato col sangue del povero! — E tu, Scriba e Fariseo, spogliatore della vedova e dell’orfano… —

Questa era pel notaio Zacco. E ce n’era per tutti gli altri: pel barone Scampolo che aveva una lite coi reverendi padri cappuccini; per don Luca Arpone, il quale viveva in concubinato colla moglie del fattore; pel fattore che si rifaceva alla sua volta sulla roba del padrone; pei libertini che congiuravano contro i Borboni nella farmacia Mondella; per tutti quanti insomma, poveri e ricchi, ragazze e maritate, che ciascuno nel paese conosceva le marachelle del vicino, e diceva in cuor suo: — Meno male che tocca a lui! — a ogni peccato che sciorinava fuori il predicatore, e la gente si voltava a guardare da quella parte.

— E allorché sarete nelle fiamme eterne, poi, cosa farete?… Guai!

— Cos’è? — borbottò donna Orsola Giuncada all’orecchio della figlioula, la quale dimenavasi sulla seggiola, quasi fosse realmente sui carboni accesi, per sbirciare Ninì Lanzo, laggiù in fondo. — Cos’è? Ti vengono i calori adesso? Bada che te li fo passare con qualche ceffone, ehi! —

Intanto pareva di soffocare, in quella stia. Fra il caldo, l’oscurità, il sito greve della folla, quelle due misere candele che ammiccavano pietosamente dinanzi al Cristo dell’altare, il guaito del chierichetto che vi cacciava indiscretamente sotto il naso la borsa delle elemosine, il vocione del predicatore che intronava la chiesa e faceva venire la pelle d’oca, da sentirvi mancare il fiato. E sembrava allora che tornassero a pizzicarvi tutte le pulci degli scrupoli vecchi e nuovi, al sentire specialmente le frustate della disciplina che davasi laggiù, al buio, quel buon cristiano di Cheli Mosca, famoso ladro, che era venuto a dare il buon esempio e mostrare che mutava vita, lì, sotto gli occhi stessi del giudice e del capitano giustiziere – cing-ciang – colla cigna dei calzoni. – Ché poi, se mancava un pollo in paese, andavano subito a cercar lui, sangue di Giuda ladro! Gli uomini, dal canto loro, tenevano duro, bene o male. Ma nel recinto delle donne la parola di Dio faceva miracoli addirittura: sospiri, brontolii, soffiate di naso che non finivano più; e chi aveva la coscienza pulita ringraziava il Signore in faccia a tutti quanti – coram populo e tanto peggio per qualcun’altra che non osava levare il naso dal libro di messa, donna Cristina-del-giudice a mo’ d’esempio, o la Caolina, messa in disparte come un’appestata, con tutti i suoi fronzoli e il puzzo di muschio che ammorbava.

— A che ti gioveranno, Maddalena impenitente, le chiome profumate di mirra e d’incenso, e i vezzi procaci?… —

Donna Orsola si turò il naso, stomacata dallo scandalo che recava in chiesa la Caolina, poiché gli uomini per simili donnacce trascurano fino il sacramento del matrimonio, e vi lasciano muffire in casa le figliuole, senza contare poi gli altri inconvenienti che ne nascono: le ragazze che per aiutarsi si attaccano pure a uno spiantato senz’arte né parte, come Ninì Lanzo; i padri di famiglia che continuano a correre la cavallina a cinquant’anni… — Guai agli adulteri e ai lussuriosi!…

— Ehm! Ehm!…

Ora che il predicatore si era buttato addosso al settimo peccato mortale, e diceva pane al pane, la povera donna Orsola si sentiva sulle spine per la figliuola, che sgranava gli occhi e non perdeva una sola parola della predica. Tossì, si soffiò il naso; infine cominciò a farle la predica a modo suo, che le ragazze in chiesa devono stare composte e raccolte, ascoltando solo quello che sta bene per loro, senza bisogno di fare quel viso sciocco, quasi il servo di Dio parlasse turco.

Parlava come sant’Agostino invece il predicatore; tanto che si sarebbe udita volare una mosca; la stessa Caolina si era calato il manto sugli occhi, e pareva contrita anche lei.

L’uditorio era così penetrato dal soggetto della predica, che vecchie di cinquant’anni tornavano ad arrossire come zitelle, e le più infervorate guardavano di traverso donna Santa Brocca, la moglie del dottore, che era venuta alla predica con un ventre di otto mesi che faceva pietà, e si sentiva morire sotto quelle occhiate, poveretta.

Una santa donna davvero però costei, timorata di Dio, sempre fra preti e confessioni, tutta della casa e del marito, tanto che gliela aveva empita di figliuoli, la casa. E il marito – un libertino, uno di quelli che andavano a cospirare nella farmacia Mondella – ogni volta che sua moglie mettevasi a letto coi dolori del parto, se la pigliava con Dio e coi sacramenti, specie quello del matrimonio, talché la poveretta piangeva nove mesi interi quando tornava ad essere in quello stato.

Ma stavolta donna Santa gliene fece una più grossa delle altre. È vero che il diavolo e il predicatore ci misero la coda con quella scena dell’altro mondo che il quaresimalista aveva preparato a fin di bene però. Mentre sgolavasi a gridare: — Guai a voi, lussuriosi! — Guai a te, adultera! — apparvero le fiamme della pece greca nel bel mezzo della chiesa, e si udirono il sagrestano coi compari che strillavano: — Ahi! Ohimé! — Che vedeste allora! Chi diceva che erano proprio i diavoli, chi piangeva ad alta voce, chi si buttava ginocchioni. La vedova Rametta, che aveva il marito sepolto lì di fresco, svenne dalla paura, e due o tre per simpatia. La povera donna Santa Brocca poi, già debole di mente per la gravidanza, i digiuni e le devozioni, sbigottita fra i rimproveri del marito e le invettive del predicatore, sofferente dal caldo, dalla vergogna, dal puzzo di zolfo, fu colta all’improvviso dagli scrupoli, o da che so io, cominciò a smaniare e a stralunare gli occhi, pallida come una morta, annaspando colle mani in aria, gemendo: — Signore!… Sono una peccatrice!… Pietà e misericordia!… — e tutt’a un tratto, crac, fece la frittata.

Figuratevi il putiferio: voci, strilli, mamme che scappavano, spingendosi innanzi le ragazze curiose di vedere: insomma, un parapiglia. Gli uomini, nella confusione, invasero il recinto riservato, a dispetto del giudice che brandiva la canna d’India, e gridava come fosse in piazza. Corsero pugni e pizzicotti, nel pigia pigia. Quella fu anzi l’occasione che Betta l’indemoniata si rimise con don Raffaele Molla, dopo tante liti e tante vergogne che erano state fra di loro, e la Caolina fece vedere a chi voleva le brachesse ricamate, scavalcando seggiole e panche meglio di una capra. Una baraonda da farvi badare al portafoglio o alla catenella dell’orologio, se era il caso, ché il giudice a buon conto appioppò una stangata sulle spalle a Cheli Mosca, per tenerlo in riga.

Infine, qualche bene intenzionato, coll’aiuto del giudice e delle altre autorità, sgridando, strepitando, pigliando la gente per il petto del vestito, correndo di qua e di là, come cani intorno al gregge, riuscirono a mettere un po’ d’ordine e ad avviare la processione che doveva recarsi alla Matrice, come al solito, per ringraziare il Signore, la ciurmaglia innanzi, alla rinfusa, a spinte e a sdruccioloni per la viuzza dirupata, e i galantuomini dietro, a due a due, colla corona di spine e la disciplina al collo, che da ogni parte correvasi a veder passare a quel modo i meglio signori del paese, baroni e pezzi grossi, cogli occhi bassi, e le finestre erano gremite di belle donne – una tentazione per quelli che passavano in processione colla corona di spine in testa. Nel terrazzino del pretorio donna Cristina-del-giudice chiacchierava colle sue amiche, e faceva gli onori di casa quasi fosse la padrona.

— Sicuro! Donna Santa Brocca! Bisogna dire che ci abbia di gran porcherie sulla coscienza! L’avrebbe detto, eh? una mascherona come lei! E si faceva passare per santa! Anche suo marito farebbe meglio ad aprire gli occhi in casa sua, invece di sparlare di tutto e di tutti! —

Il dottor Brocca, che era realmente un giacobino, un malalingua di quelli della farmacia Mondella, e andava in giro per le sue visite, invece di ascoltare la predica e di seguire la processione, come seppe il castigo di Dio che gli era capitato addosso, e gli portarono a casa la moglie più morta che viva, cominciò a strepitare e a prendersela col quaresimalista, cogli esercizi spirituali, e col Governo che permetteva simili imposture, e tiravano ad accopparvi una gestante con quelle commedie; finché il giudice lo mandò a chiamare in pretorio ad audiendum verbum, e gli fece una bella lavata di capo: — che il Governo è quello che comanda, e non sarete voi, mio caro, che gli insegnerete ciò che deve fare. Avete capito? — E il quaresimalista apparteneva a quell’ordine dei reverendi padri liguorini che si facevano sentire sino a Napoli, e andavano girando e predicando per notare a libro maestro buoni e cattivi cittadini, come fa san Pietro in paradiso, per conto dei superiori. — Già voi non siete nella pagina pulita, caro don Erasmo! Che siete stanco di fare le vostre visite, adesso, e volete riposarvi in qualche carcere di Sua Maestà? Fatevi i fatti vostri, piuttosto. Avete capito? —

I fatti suoi erano che sua moglie stava per lasciarlo vedovo, con cinque figliuoli sulle spalle, povero don Erasmo, e per giunta, nel delirio, essa gli spifferava sotto il naso certe cose che gli facevano drizzare le orecchie, pur troppo!

— Guai all’adultera! Guai ai lussuriosi!… Sono in peccato mortale!… Signore, perdonatemi!… —

Quello che aveva sentito alla predica, insomma. Ma don Erasmo, che non era stato alla predica, non sapeva che pensare, sgranava gli occhi, si faceva di tutti i colori, balbettava ansioso:

— Eh? Che dici? Eh? —

Non che sua moglie avesse mai dato occasione a sospettar di lei, poveretta, con quella faccia! che sarebbe stata una vera birbonata a volergli fare quel tiro al dottor Brocca, un altro che non ci fosse obbligato, come vi era costretto lui, purtroppo, per amor della pace, per accontentare la moglie che aveva la testa piena delle diavolerie dei preti, e osservava con fervore tutti e cinque i sacramenti… S’intendeva lui, che aveva una nidiata di figlioli sulle spalle! Già i preti non pagano del loro! E quando una donna si è scaldata la testa, poi… Ne aveva viste tante! — Eh? che dici? Parla chiaro, in malora —.

Ma l’inferma non dava retta, accesa, guardando chi sa dove cogli occhi stralunati. E donna Orsola Giuncada, che gli era sempre fra i piedi, col pretesto di assistere la cugina donna Santa, gli dava sulla voce, per di più:

— È questa la maniera? Dopo un aborto? Mi meraviglio di voi che siete medico! —

— E lasciatela dire, peste! Si tratta del mio interesse!… —

Le amiche che venivano a visitare l’inferma facevano le meraviglie!… — Possibile! Un caso simile! Se stava così bene! Era venuta alla predica! Una madre di famiglia ch’era un modello! Che scrupoli poteva avere? —

— Mah!… Mah!… —

Alcune tentennavano allora il capo discretamente, altre invece si guardavano fra di loro, e se ne andavano senza chiedere altro. Qualche burlone perfino stringeva la mano in certo modo a don Erasmo che sembrava dirgli: — Pazienza! È toccata a voi… —

Almeno gli sembrava! Giacché, quando vi si è ficcata una di quelle pulci nell’orecchio, un galantuomo non sa più che pensare. Vito ‘Nzerra non era venuto a riferirgli pure le chiacchiere che faceva correre donna Cristina-del-giudice, quella pettegola, insudiciando anche lui, povero galantuomo?

Le chiacchiere non finivano più: forse donna Santa era uscita di casa che non si sentiva bene quel giorno: o una mala luna nella gravidanza: o qualche spintone della folla: e questo, e quest’altro; oppure aveva avuto che dire col marito: — Dite la verità, eh, don Erasmo?… — La verità… la verità… Non si può sapere la verità! — Don Erasmo, che si sentiva scoppiare, la buttò infine in faccia alla Borella e a due o tre altri fidati: — Non vogliono che si dica la verità!… preti, sbirri, e quanti sono della baracca dei burattini!… che menano gli imbecilli per il naso!… proprio come le marionette!… e tirano ad accopparvi una gestante con simili pagliacciate!… —

— Ma no! Ma no! Siamo state tutte alla predica… C’ero anch’io… A nessuna è successo niente… —

— Allora! Allora!… —

Allora non sapeva che dire il povero don Erasmo, cogli occhi stralunati e la bocca amara. Tornava a supplicare la moglie, prendendola colle buone, colla faccia atteggiata al riso, mentre preparava decotti e l’abbeverava di medicine: — Dilla al tuo maritino la verità… Cos’è questo peccato? Che devo perdonarti? —

Come parlare a un muro. Donna Santa non disserrava neppure i denti per inghiottire le medicine, alle volte; oppure, se parlava, tornava a battere la stessa solfa di castighi, di peccati gravi, di lingue di fuoco che aveva sempre dinanzi agli occhi.

— Ah? Non posso sapere nemmeno cosa è successo in casa mia, ah? — sbuffava allora furibondo don Erasmo rivolto a donna Orsola ch’era sempre lì, fra i piedi.

Lui che sapeva tutte le storie di casa altrui, gli scandali di donna Cristina, le scene della vedova Rametta che andava a piangere, la buon’anima, nelle braccia di questo o di quello! – Se ne facevano le belle risate col farmacista e don Marco Crippa. – Gli pareva di vederlo, adesso, don Marco, strizzando l’occhio guercio, ora che la disgrazia toccata a lui faceva le spese della conversazione.

— Capite bene, donn’Orsola, che ho diritto di sapere infine cos’è successo in casa mia! —

— Cos’è successo? Che vedete? Non vedete che vaneggia, poveretta? Sono le parole della predica che le rimasero in mente… —

Giusto! perché le fossero rimaste in mente appunto quelle voleva sapere don Erasmo! In casa sua non ce n’erano mai state di simili porcherie!… Che sapesse lui, almeno! Che sapesse lui, Cristo santo! — Lasciatemi stare, Cristo santo, o dico che siete d’accordo fra di voi! E tu spiegati, mannaggia!

— Che volete? Perdonatemi!… —

Ah no! Don Erasmo voleva prima sapere cosa dovesse perdonare! …e chi ringraziare del tiro fattogli, se mai! …del furto domestico! …Sissignore, del furto domestico! Perché quando un galantuomo non è sicuro nemmeno in una casa come la sua, una vera fortezza, e con una moglie come la sua, che a fargli un tiro simile con siffatta moglie doveva essere stata inimicizia bell’e buona!… Ma chi? compare Muzio, il solo che bazzicasse da lui… a sessant’anni suonati!… È vero che donna Santa non era più di primo pelo nemmeno lei, e il peccato poteva essere vecchio anch’esso… E allora? Allora? Quei figlioli di cui s’era empita la casa in ossequio al settimo sacramento? C’era qualche ladro anche fra di loro… Gennarino, o Sofia… o Nicola?… Tutti i santi del calendario c’erano in casa sua! Di tutte le età e di tutti i colori… Anche coi capelli rossi come il notaio Zacco che stava lì di faccia, ed era capacissimo di avergli fatto quel tiro per pura e semplice birbonata, gratis et amore Dei!

Il pover’uomo perdeva la testa in quei sospetti, e si rodeva dentro, mentre gli toccava assistere l’ammalata, e correre di qua e di là per la casa in disordine, costretto a far tutto lui, la pappa per Concettina, lavare il muso ad Ettore – forse i ladri domestici, poveri innocenti!… No, non poteva durare a quel modo! Donna Santa avrebbe parlato infine, avrebbe detto la verità, – se è vero che era una santa donna, – per scarico di coscienza.

Ma essa invece non confessò nulla, nemmeno in punto di morte, nemmeno al prete che venne a portarle il viatico. Don Erasmo lo prese a quattr’occhi, dopo, seguendolo giù per la scala, colle gambe che gli vacillavano sotto, per conoscere infine questa benedetta verità… — Se è vero che ci sia questo mondo di là… Se è vero che bisogna andarvi colla coscienza pulita… Specie di certi fatti che tolgono per sempre il sonno e l’appetito a un galantuomo… Disposto a perdonare però… da buon cristiano… —

Niente! Neppure al confessore aveva detto nulla sua moglie. — Una vera santa, caro don Erasmo! Potete vantarvene… — o che realmente sua moglie non avesse nulla da dire, o che anche le sante ci hanno il pelo sullo stomaco.

E se il dottor Brocca non poté togliersela allora, non se la tolse mai più quella spina dal cuore, quel dubbio amaro, quel sospetto che gli accendeva il sangue a ciascuno che venisse a cercarlo, o soltanto passasse per via, e lo coglieva di soprassalto se fermavasi un quarto d’ora nella farmacia, e gli metteva l’inferno in casa, gli avvelenava il pane stesso che mangiava a tavola, fra quella nidiata di marmocchi che ne divoravano dei cassoni pieni, chissà quanti a tradimento, e quella moglie che tornata da morte a vita avrebbe voluto tornare anche ad essere come era prima, tutta della casa e del marito, sempre fra preti e confessori.

— Come la fai questa confessione? Che andate a dirgli al confessore voi altre donne?… Se non dite mai la verità!… —

La poveretta piangeva, si disperava, faceva mille proteste e mille giuramenti. La cugina Orsola alle volte accorreva alle grida, e gli diceva il fatto suo:

— Ma che volete, infine, da lei?… Volete che inventi dei peccati? Volete esser becco per forza? —

E gli toccava mandar giù anche questa e tacere! E gli toccava chinare il capo e cambiar discorso, quando si rideva degli altri mariti disgraziati, con don Marco Crippa e il farmacista.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il peccato di donna Santa
AUTORE: Verga, Giovanni

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: I grandi romanzi e tutte le novelle : I Malavoglia, Mastro don Gesualdo, Cavalleria rusticana e altre novelle, Racconti milanesi, Giochi d'amore e marionette parlanti / Giovanni Verga ; a cura di Concetta Greco Lanza. – Ed. integrale. - Roma : Newton, c1992. - 954 p. ; 24 cm. - (I Mammut n. 5)

SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)