L’opera di Primo Levi sul lager nazista di Auschwitz portato in scena dal regista e attore Valter Malosti al Teatro Alighieri di Ravenna

Primo Levi e la sua opera Se questo è un uomo, ieri sera in scena al Teatro Alighieri di Ravenna, per la regia e l’interpretazione di Valter Malosti, tornano a parlarci ancora una volta, e in modo ogni volta sconcertante, della Shoah e del campo di sterminio di Auschwitz. Malosti sceglie di rendere protagonista la voce di Levi stesso che racconta, con timbro pacato e secco, l’esperienza del campo di sterminio.

Se questo è un uomo, diretto e interpretato da Valter Malosti – photocredit Tommaso La Pera

Asciutto, ma meticoloso nella narrazione dei particolari, con una scenografia scarna e monocromatica, preceduta da una soffice nevicata e accompagnata dai tre madrigali composti da Carlo Boccadoro e ispirati alla poesia scritta da Levi tra il 1945 e il 1946, dopo il ritorno a casa. E’ il coro a declamarli, accentuando il tratto spiccatamente acustico di questo spettacolo che vibra dall’inizio alla fine come lamento e rivendica il dovere della memoria di quello che è stata la Terza Germania di Adolf Hitler.

Levi è nel campo di Fossoli, nel modenese, dopo essere stato catturato in Valle d’Aosta per la sua attività di partigiano antifascista, quando a lui e agli altri ebrei prigionieri, viene annunciato il trasferimento ad Auschwitz. E’ il 13 dicembre 1943. Descrive con minuzia di particolari la preparazione della comunità al viaggio da cui la maggioro parte di loro sa che non farà ritorno, il lungo e lento viaggio sul vagone merci e l’arrivo  nella landa polacca, accolti dalla grottesca scritta Arbeit macht frei.

Se questo è un uomo, regia di Valter Malosti – photocredit Tommaso La Pera

Sottoposti a insensate regole e divieti, tenuti quotidianamente in condizioni di fame, freddo, sonno e sporcizia, costantemente sorvegliati, Levi ci parla di come tutto questa sofferenza venisse scrupolosamente programmata per poter togliere dignità ai reclusi e trasformarli in parassiti disposti a tradirsi e truffarsi l’un l’altro per accaparrarsi un po’ di cibo o un pertugio più sopportabile. La  sua dura testimonianza ci parla però  anche dell’indistruttibilità della vita che pian piano si fa spazio perfino qui.

Prima attraverso il ragazzo alsaziano Jean, che lo aiuta in cambio di lezioni di italiano e al quale inizia a parlare della Commedia di Dante, scoprendone solo allora, in quel posto sordido, la pregnanza e l’intensità. Poi attraverso la gratuità di un operaio italiano, Lorenzo, che divide con lui il poco cibo a disposizione.

I mesi trascorrono lentamente mentre la guerra è a una svolta  con l’esercito russo che tiene testa ai tedeschi, la resistenza partigiana sempre più sferzante e l’intervento degli Alleati. Il 27 gennaio i russi arrivano ad Auschwitz e aprono i cancelli. Nessun sollievo, fragore o entusiasmo, racconta Levi-Malosti, “solo vergogna” per le condizioni in cui si trovavano, ridotti a spettri.

Valter Malosti – photocredit Laila Pozzo

Due figure insieme al Malosti-Levi narrante, i performer Camilla Sandri e Antonio Bertusi, personificano l’una il viaggio verso il campo, l’altro la condizione della permanenza al suo interno, riprendendo negli abiti la monocromia grigio-verde spento e il pallore del viso, mentre il progetto sonoro è curato da Gup Alcaro, scene di Margherita Palli.

La spettacolo è stato realizzato in collaborazione con  Domenico Scarpa, consulente del Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino e dallo stesso Malosti che, lo ricordiamo, da pochi mesi è anche presidente della Fondazione ERT Emilia Romagna Teatro.

Anna Cavallo