Copertina romanzo Ranunkoli KurosawaCapita che per caso si leggano due romanzi uno dietro l’altro e che il caso, come ogni tanto accade, sembri avere un suo senso.
Il primo libro, I ranunkoli di Kurosawa di Marzio Biancolino, me lo ha velocemente regalato Antonio Rizzo, uno dei due capoccia della PeQuod, la casa editrice che lo ha pubblicato nel 2006: «Leggi questo, leggilo, ti piacerà». Grazie, prego. Ho ricevuto il libro direttamente nell’ufficio della casa editrice. Non aveva l’odore del fresco di stampa, ma poco ci mancava: l’aveva toccato solo l’editore, oltre al tipografo; non male. Il secondo romanzo, Fìdeg di Paolo Colagrande (ed. ALET, 2007), me lo hanno regalato i miei cognati per il compleanno «perché c’era la fascetta del premio Campiello opera prima e perché questo pare che scrive cazzate come quelle che scrivete tu e gli amici tuoi pazzi.» Grazie, prego. Odore più svanito, certo, questo volume ha viaggiato su un camion ed è arrivato in libreria; ma è pur sempre una prima edizione, diamine.

Capita, tornando al discorso del caso, che questi due libri urlino all’Occidente, se non al mondo intero, le cause del suo essere prossimo alla Fine: il TDD e lo Stilnovismo.

Il TDD è – così ci spiega, con gusto per l’accumulazione, Biancolino – il Timor Di Dio:

«Dono dello Spirito Santo», secondo la depositata definizione teologica. Il più misconosciuto flagello esistente sulla faccia della Terra, invece! Altro che colera, poliomielite, vaiolo, beri-beri, peronospora, cancro, acne o spirochetapallido. Ha mietuto e sta ancora mietendo più vittime il TDD (non a caso anagramma del più letale DDT!) di tutte le più tremende malatie infettive messe insieme. [ […]] Le vittime designate erano, sono e saranno indifesi ragazzini tra i tre e i dieci anni, e una volta che il morbo sarà conclamato, ne porteranno il segno per il resto della vita. Una vita solitamente piatta e grigia, anche se tragicamente irriconosciuta o negata come tale. [ […]] Quei poveri ragazzini diventeranno trentenni, quarantenni, cinquantenni, sessantenni diseredati dal futuro, deprivati dal barlume di una onesta motivazione esistenziale, insonni, fragili, paurosi, tristi, consueti, arrendevoli, spenti […] morti! Quelli che si preoccupano di ciò che pensa la gente perché hanno paura che la gente non si preocupi abbastanza di loro, quelli che pensano solo a quando saranno in pensione per timore di pensare a quello che stanno facendo in quel momento, [ […]] quelli che in testa hanno solo la morte perché hanno paura della vita […][ […]] Sfortunatamente, ciò che rende questo cancro psichico così tignoso e infido è il diffuso equivoco che esso abbia come antidoto una semplice siringata di abiura [ […]]. Niente affatto [ […]]. Il ripudio sarà del tutto illusorio. Perché ormai non sarà più un semplice concetto a dover essere corretto, cancellato o sostituito, bensì uno stile di vita che si è andato radicando nella stanza dei bottoni del cranio. Un modo di atteggiarsi, di proporsi, reagire, vivere. La famosa corazza caratteriale di Reich.

copertina romanzo fidegCi ammonisce invece, sempre accumulando, Colagrande:

Dal punto di vista dei costumi sessuali, il dolce stilnovo è come si dice un punto di non ritorno. Da allora in tutto il mondo si cerca di rimaterializzarle, Beatrice, Laura, Selvaggia di Cino e Giovanna di Guido, e tutte le altre donne dei letterati stilnovisti, ma è difficile; almeno fino adesso non ci è riuscito nessuno. Neanche il sessantotto. E sarà dura.
Tutto l’esercito di uomini timidi, maldestri, sofisticati e pusillanimi, tutti quei complessi di inferiorità, l’ansia da prestazione, le nevrosi da gelosia, le patologie da deficit erettile o quelle da priapismo permanente dei politici contemporanei, le concessionarie di fuoristrada americani, di mercedes e bmw e porsche e via discorrendo su altri prodotti del consumismo estetico, sono tutti effetti del dolce stilnovo.
Cioè, han fatto più danni Dante Alighieri, Cino da Pistoia e Guido Cavalcanti e, appena dopo, il petrarchismo che ha ipnotizzato l’Italia e si è sparso per la Francia e l’Inghilterra, che tutti i sociologi e sessuologi e antropologi del giorno d’oggi che ti dicono che l’uomo moderno soffre la vita di relazione, soffre il rapporto di coppia, soffre l’intimità, soffre il confronto, deve circondarsi di certezze e beni materiali. Sfido: provate voi a trovarvi in intimità con una metafora dell’amor divino se siete poi capaci di combinare.

Meditiamo, gente, meditiamo…

Giuseppe D’Emilio

Questo articolo è stato originariamente scritto per la rivista inutile (http://www.rivistainutile.it)

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