Il principe nero.
di
Cordelia
tempo di lettura: 18 minuti
Avete mai udito parlare del regno di Ninfete? La sua storia si perde nella notte dei tempi. Ma è certo che quel regno si sarebbe potuto riguardare come il Paradiso terrestre.
Vi regnava perenne la primavera: il terreno era fertile e dava abbondanti raccolti, il popolo viveva tranquillo e contento di ciò che possedeva, e per giunta era governato da un re tanto buono e clemente che non si curava che del benessere dei suoi sudditi.
Però la tranquillità del regno era turbata da un fatto misterioso e sconosciuto, che teneva tutti nel massimo orgasmo. Continuamente scomparivano persone giovani e belle; non si sapeva per quale ragione, ma non tornavano più indietro.
Il fatto succedeva quasi sempre in questo modo: giovani spensierati passeggiando per le vie andavamo in un giardino fiorito, attratti dal profumo di mille fiori, o seguendo le farfalle, od altri animaletti innocenti, e si smarrivano tutt‘ad un tratto in una specie di labirinto dal quale non potevano uscire.
Che cosa avvenisse di quei giovani nessuno poteva immaginare: si facevano diverse supposizioni e si narravano leggende. Taluno affermava che nel centro del giardino viveva un mostro che si cibava di carne umana; altri che vi era un luogo che faceva degli incantesimi; si parlava di pazzi e di belve; ma in conclusione non si sapeva nulla di preciso.
Intanto i genitori tremavano per i figli, i fratelli per le sorelle, gli sposi per le spose, e il re per tutti i suoi sudditi, al punto che avrebbe dato la vita e le proprie ricchezze per liberare il regno da un simile flagello.
Aveva spesso fatto affiggere un bando promettendo onori e ricompense a chi fosse riuscito a liberare il paese dai misteri del Giardino incantato (nome che tutti davano al luogo fatale). Molti coraggiosi avevano tentato di penetratavi con armi e cavalli, ma erano scomparsi senza lasciare alcuna traccia. In ogni via, in ogni piazza v‘erano scritti che proibivano di avvicinarsi al luogo pericoloso; ma se i vecchi stavano in guardia e se ne tenevano lontani, i giovani, colla spensieratezza della loro età, non curanti del pericolo, non ascoltavano avvertimenti, e si trovavano quasi senza accorgersi nel giardino incantato, d‘onde non potevano più uscire, ed ogni giorno c’erano persone costrette a piangere la scomparsa d‘un congiunto o di un amico.
In quel regno viveva Erasmo, giovane bello e forte che aveva studiato la sapienza sui vecchi libri, ed era tanto saggio che gli uomini andavano a consultarlo nelle loro incertezze, e le fanciulle sospiravano per lui ed avrebbero desiderato sposarlo. Ma egli a tutti preferiva Ausania., la più bella fanciulla del regno, così che al suo mostrarsi uomini e bestie si fermavano estatici ad ammirarla. Quando la gente li vedeva insieme passeggiare per la città, soleva dire:
— Egli è saggio, ed essa è bella: ecco due esseri che un giorno saranno padroni del mondo.
Una volta Erasmo disse ad Ausania:
— Prima di sposarti vorrei entrare nel giardino incantato ed uccidere il mostro che vi sta chiuso.
La fanciulla a quelle parole divenne pallida come una morta, e gli disse con uno sguardo supplichevole:
— Non farlo, amico, te ne prego: non vedi che nessuno è mai tornato da quel luogo fatale?
— Io prenderò le mie precauzioni, – rispose rassicurandola, – sento che se riesco, questa vittoria mi porterà fortuna; pensa che cruccio continuo sarebbe aver figliuoli e temere sempre per la loro vita.
— Se ti perdo, io non ti potrò sopravvivere.
— lo sono deciso, – soggiunse il giovane, – se non riesco a liberare il regno da quel flagello, non sarà mai detto che io mi sposi.
— Quand‘è così, ti sarò compagna nella difficile impresa, – disse Ausania.
— E se ci accade qualche sventura?
— La sopporteremo con coraggio, perchè saremo uniti.
Decisero dunque di tentare la sorte. Ma Erasmo non voleva affrettarsi, prima volea prendere dei provvedimenti; egli diceva che bisognava far la guerra armati, e mettersi in viaggio ben equipaggiati, e intanto non dovevano dire nulla a nessuno per non vedere faccie malinconiche, e non essere sconsigliati dal seguire il loro impulso generoso.
Erasmo aveva la sua idea; a furia di studiare aveva scoperto il mezzo di rinchiudere tutte le forze occulte della natura in una cassetta, da potersi tenere in tasca: era pure riuscito a raccogliere in piccole boccette una gran quantità di succhi vitali, che potevano servire di nutrimento per parecchi mesi: prima di mettersi in cammino voleva provvedere molti succhi vitali e terminare la macchina destinata a portare lo scompiglio nel mondo.
Lavorò indefessamente per molti mesi e appena la macchina fu pronta prese per mano Ausania, e pieni di speranza e di coraggio lasciarono amici e parenti, si avviarono al giardino incantato senza esitare e senza versare una lacrima.
Tutto era ridente intorno a loro; camminavano sopra verdi tappeti morbidi come il velluto, e avevano davanti alberi odorosi e cespugli fioriti: un vero incanto.
Camminarono per molto tempo,sempre in mezzo ai fiori, all‘ombra delle piante, avvolti da un nembo in profumi. Ad un certo punto Ausania si fermò.
— Perchè t’indugi? – le chiese Erasmo.
— Ho paura, torniamo indietro, – e la fanciulla si volse, tentò di ritornare sui suoi passi; ma diventò pallida e tremante quando s’accorse che ogni sentiero era scomparso. La strada era sbarrata da alte siepi di fiori, che tentò di scuotere, ma erano solide e resistenti come se fossero di ferro. Essa, si fermò scoraggiata.
— È inutile, – disse Erasmo, – dobbiamo andare avanti: guarda che cosa, dicono i fiori.
Infatti sopra un verde prato Ausania vide scritto con parole formate dai fiorellini bianchi:
“Pensaci prima e non pentirti poi.”
— Credevo di avere più coraggio, – essa disse; – nel vedermi qui così imprigionata, mi trema il cuore.
— Non vedi che è una prigione di fiori? Fàtti coraggio, ho in tasca chiusa, una forza colla quale potremo affrontare qualunque pericolo.
— E se un potere occulto ci separasse, che cosa sarebbe di me? – mormorò la fanciulla.
— Non temere, – rispose Erasmo; – eccoti un piccolo disco il quale è attaccato alla mia cassetta con un filo sottile, quasi invisibile; con questo potrai sempre comunicare con me anche se fossi lontano. Esso ti servirà per parlarmi e chiedermi quello che desideri; col suo mezzo ti potrò dare una luce per vedere attraverso il corpo umano, ed una forza per uccidere cento uomini.
— Ma questa è una magia, – esclamò Ausania meravigliata: – sei dunque un mago?
— No, amica mia, fu la scienza che mi aiutò a combinare un simile arnese; perciò fatti coraggio, e pensa che se una forza superiore ci divide, saremo sempre legati da questo filo sottile, ma potente.
Poi le diede due bottiglie piccine piccine, dicendole:
— Quando sentirai venir meno il tuo coraggio, bevi qualche goccia del liquore che sta chiuso nella boccetta dov‘è scritto: Forza, e ti sentirai un coraggio da leone. Quando avrai bisogno di nutrimento bevi una goccia di quella ove è scritto: Vita, e ti troverai più forte: ma non lasciarti tentare dai cibi che forse ti verranno offerti; perché questo giardino dev‘essere pieno di agguati e pericoli e guai a chi non sa evitarli!
— Tu sai tante cose, e parli così bene che mi hai infuso coraggio, – disse Ausania, – andiamo pure avanti.
E tenendosi per mano proseguirono la loro via, sempre attraversando prati verdi in mezzo a siepi fiorite che appena passati, si richiudevano dietro di loro, e formavano una specie di labirinto dal quale pareva impossibile uscire.
Dinanzi a loro svolazzavamo farfalle dalle ali variopinte, che parevano invitarli a proseguire; Ausania si divertiva a seguirle: avrebbe voluto prenderle quando si posavano su qualche fiore; ma non si lasciavano acchiappare, e avanti avanti trascinarono i due giovani ad un punto, ove in distanza si scorgeva un castello nero, nero, colle torri merlate, le porte di ferro ed intorno un largo fossato, sul quale un grosso albero curvo colle radici al di qua del fosso e i rami davanti alla porta del castello, formava un ponte strano e fantastico.
Il sole volgeva al tramonto: i giovani si sentivano gli occhi gravi dal sonno, e spinti da una forza superiore alla loro volontà, si sdraiarono su un prato fiorito dove si addormentarono quasi senza accorgersene.
La mattina quando apersero gli occhi furono dolorosamente sorpresi di trovarsi uno separato dall‘altra. Erasmo, al trovarsi privo della fida compagna, credette essere caduto in un abisso profondo e la chiamò ad alta voce, ma nessuno rispose: Ausania rimase impietrita dallo spavento quando si trovò in una sala del castello, di quel castello lugubre e nero, che aveva veduto il giorno prima apparirle davanti agli occhi.
Le era sembrato durante il sonno di sentirsi trascinare con una specie d’uncino su su per il tronco dell‘albero che serviva da ponte, ma aveva creduto di sognare. Il risveglio fra quelle quattro mura, lontana dati Erasmo, fu terribile.
Quando le sue idee divennero più chiare rammentò l‘oggetto che teneva attaccato al filo, e che nascondeva sul cuore: e sussultò di gioia nel trovarlo al medesimo posto: lo portò alla bocca e chiamò Erasmo.
Il cuore le diede un balzo, sentendo la voce del suo amico che le rispondeva come se non fossero divisi da quella tetra muraglia:
— Ausania, dove sei?
— Nel castello, vieni.
— Non posso.
— Aiutami, ho paura.
— Coraggio, non temere, chiamami quando sarai in pericolo: sarò pronto ad ogni tuo cenno.
Egli avrebbe voluto entrare nel castello, ma l‘albero che durante la notte aveva servito da ponte, s‘era rialzato come per incanto; e i rami ritti ed immobili s‘innalzavano al cielo a guisa di spettri; aveva però il conforto di comunicare con Ausania, di saperla viva, e stava lì come affascinato,senza poter staccar gli occhi da quelle mura, che le servivano di prigione.
Ausania., appena potè distinguere gli oggetti che la circondavano, si guardò intorno e vide accanto a sè tre fanciulle che dormivano ancora, ma facevano dei movimenti come fossero sul punto di svegliarsi. Una era vestita di bianco, l‘altra di rosa, la terza di colore azzurro. Erano giovani e belle, perciò Ausania non ebbe alcun timore, ma timida per natura, cercò un posto ove nascondersi, e poter osservare senza essere scoperta; vide in un angolo buio della sala una ragnatela che andava dal suolo alla vôlta: adagio adagio la staccò dal muro da un lato, e vi si nascose dietro, in modo da restar velata in un bellissimo posto d‘osservazione.
Dopo qualche tempo vide le tre fanciulle risvegliarsi e guardar attorno sorridendo:
— Dove siamo? – disse allegramente la bianca.
— Certo in un castello incantato, – rispose quella vestita di rosa.
— Che piacere se venisse un principe a sposarci, come nei racconti delle fate! – aggiunse quella che aveva l‘abito azzurro; – il male è che non ci potrebbe sposare tutte.
— E allora?
— Bisognerebbe combattere come i cavalieri antichi, e il principe sposerebbe la vincitrice.
E tutte tre scoppiarono in una sonora risata. Poi si raccontarono le avventure del giorno prima; erano andate a passeggio parlando di giuochi e adornamenti, correndo dietro alle farfalle e cogliendo fiori, s‘eran trovate in quel giardino inconsapevolmente, poi erano state colte da un sonno prepotente, s‘erano addormentate e risvegliate come per incanto dentro le mura del castello. E ridevano per l‘avventura, da vere fanciulle spensierate.
— Ho fame, – disse la ragazza in bianco.
— Mi piacerebbe trovare una tavola imbandita come nei castelli delle fate, – soggiunse quella vestita di rosa.
— lo mi contenterei del principe, – disse la terza.
E non avevano ancora profferite quelle parole che videro entrare due capre bianche che tiravano un carrettino, sul quale c’era una quantità di vivande da far venire l‘acquolina in bocca alla persona meno golosa.
— Guarda, – dissero tutte unite le fanciulle, – come i nostri desideri sono esauditi, siamo proprio nella dimora delle fate. E come sono generose! guarda che bel pasticcio; pare un monumento! e questi pattini pieni di prosciutto! ecco una bella torta: che gioia!
E tutte contente tolsero dal carrettino cartocci di dolci, aranci, canditi, focaccie e bottiglie di sciroppo e liquori deliziosi.
Appena il carrettino fu vuoto le caprette se n‘andarono misteriosamente come erano venute, e quelle fanciulle allegre e spensierate cominciarono a mangiare e bere chiacchierando vivacemente, contente degli avvenimenti meravigliosi che un giorno speravano raccontare agli amici.
Ausania, nascosta nel suo angolo, si sentiva voglia di prendere parte alla festa, ma, rammentando le parole di Erasmo di non mangiare o bere di quello che le venisse offerto, e si contentò di alcune goccie delle boccette dei succhi vitali.
Fu ben lieta di non essersi lasciata tentare a mangiare o uscire dal nascondiglio, dal quale dovette assistere ad uno spettacolo tanto raccapricciante, che sarebbe morta dallo spavento se non avesse potuto bere qualche goccia di liquore dalla boccetta sulla quale era, scritto forza, che le diede il coraggio di sopportare la scena orribile che si svolse davanti a suoi occhi.
Dopo che quelle fanciulle ebbero ben mangiato, si misero a cantare, a ballare a far capriole; tanto che parevano pazze; poi tutt‘ad un tratto piombarono in terra, colte da un sonno profondo, quasi letargico. Poco dopo Ausania vide entrare nella stanza un uomo alto, magro, colla barba e i capelli neri, lo sguardo feroce che aveva l‘aspetto di un selvaggio; era seguito da tre uomini più giovani, ai quali parlava come il maestro fa coi discepoli.
— Eccone altre tre cadute in trappola, – disse guardando le fanciulle addormentate: – spero che finalmente i nostri esperimenti riusciranno a farci scoprire la verità.
— Ma non erano quattro le fanciulle? – disse uno dei giovani timidamente.
— Così pareva anche a me, – disse l‘uomo dalla barba nera, e diede un‘occhiata intorno alla stanza.
Ausania si sentiva morire, ed il cuore le battè sì forte come volesse scoppiare: stava già per essere scoperta, quando uno dei discepoli, quello che aveva l‘aspetto più mite e simpatico, disse:
— Ieri sera voi, mio principe, eravate così stanco che forse non avete contato bene.
— Può darsi, – rispose l‘uomo nero, – del resto per oggi abbiamo abbastanza lavoro, se l‘altra è entrata nel castello non ci sfuggirà certo.
Detto questo sollevò una delle fanciulle che dormivano, quella vestita di bianco, e la posò supina sopra la tavola, che stava in mezzo alla stanza, le slacciò in fretta colla mano la veste, prese un coltello affilato e le aperse il seno.
La fanciulla diede un gemito, poi non s‘udì più nulla. Il principe nero stava collo sguardo intento sopra di lei, volendo scrutare qualche cosa in quelle carni ancora palpitanti.
— Non ha quasi cuore, – disse.
— E le altre sono della stessa specie, – disse il giovane più mite. – Non si potrebbe risparmiarle?
— A che servirebbe? – rispose il principe, – a mantenere delle bocche inutili; e poi che cosa importa distruggere una persona, quando scoperto il segreto della vita, potremo fabbricarne a nostro piacere? La guerra non ne distrugge di più, inutilmente? Noi lo facciamo almeno per uno scopo santo: per amore della scienza.
Sì dicendo prese la fanciulla vestita di rosa, e col medesimo coltello le aperse il seno come alla compagna, e le squarciò il cuore; e lo stesso fece con quella vestita d‘azzurro.
— Sono sciocchine e spensierate, – disse: – al mondo non avrebbero fatto nulla di buono: seppellitele nel giardino nel posto prescelto: almeno nutriranno dei fiori, e speriamo che saranno belli e odorosi.
I tre giovani si caricarono ognuno il corpo di una fanciulla sulle spalle, e uscirono seguiti dall‘uomo nero; ma Ausania s‘accorse che il giovane più simpatico aveva gli occhi pieni di lagrime.
Rimase per qualche istante esterrefatta, pensando all‘orribile scena a cui aveva assistito, e giurò in cuor suo che non si sarebbe più ripetuta.
A costo della vita voleva salvare tante vittime innocenti che cadevano nelle mani del principe nero.
Dopo aver bevuta quasi tutta la boccetta del liquore che le aveva dato Erasmo si sentì invasa da tanto coraggio da poter affrontare non uno, ma cento uomini neri.
Parlò a lungo coll’amico, dal quale implorò aiuto e consiglio, ed egli attraverso il filo sottile le diede istruzioni sul da farsi; tanto che ella stette tranquilla ad attendere gli avvenimenti, e nella notte potè concedersi un po’di riposo.
La mattina dopo,quando aperse gli occhi, trovò presso di sè tre persone addormentate come il giorno innanzi; soltanto una era una ragazzina di dodici anni, un‘altra una fanciulla di venti,e la terza una donna di età più matura.
Aspettò che si destassero, e poi uscì dal nascondiglio e con voce melodiosa disse loro:
— Chi siete? In che modo siete venute in questo luogo?
La bimba le raccontò che aveva seguito un coniglio bianco che l‘aveva condotta nel giardino, e, non sapeva come, si era poi trovata in quella stanza.
La fanciulla disse che passeggiava col fidanzato facendo progetti per l‘avvenire, quando tutt‘ad un tratto si trovò divisa da lui,poi cadde addormentata inconsapevolmente, e si destò nel castello.
La donna più matura raccontò che avendo perduta la figlia che amava più di sè stessa, era venuta volontariamente a cercarla, o a seguirne la sorte.
— E una sorte crudele hanno quelli che si smarriscono in questo giardino, – disse Ausania, e raccontò la scena alla quale aveva assistito.
La bimba a quel racconto diede in uno scoppio di pianto, la giovine divenne pallida, come una morta, la madre pensando alla figlia si sentì stringere il cuore, ma rimase calma.
— Volete, aiutarmi a liberare il paese da un simile mostro? – Ve Io prometto se mi obbedirete.
Intanto era entrato come al solito il carrettino pieno di viveri.
— Guai se assaggiate la più piccola cosa! – disse Ausania. – Lì dentro c‘è un veleno che vi addormenta in maniera che l‘uomo nero può facilmente impadronirsi di voi.
— Ho fame, – disse la bimba.
— Prendi questo, – e Ausania le fece bere alcune goccie del liquore della vita; quindi prese i cibi del carrettino e li gettò dalla finestra, mentre le caprette scomparivano d‘onde erano venute.
Più tardi udirono un rumore presso alla porta.
— Coraggio, – disse Ausania alle compagne, e gettò attraverso alla soglia, il filo comunicante colla macchinetta d‘Erasmo.
L‘uomo nero entrò seguito dai tre discepoli, calpestò il filo, e tutti sentirono una scossa nella persona che li sorprese, ma quando l‘uomo nero s‘accorse che le donne nella stanza non erano addormentate, divenne pallido come un morto e disse:
— Che fate qui?
— Fermati, – gli gridò Ausania.
— Chi sei tu, che ardisci sfidarmi nella mia casa?
— Mi chiamo la Giustizia, e devi rendermi conto di ciò che hai fatto di tante fanciulle innocenti.
— Studio il loro cuore per scoprire il segreto della vita; è il mio ufficio.
— Chi sei dunque?
— Io sono il principe nero, e questo è il mio regno.
— E c‘è bisogno di uccidere? – chiese Ausonia.
— È il solo mezzo per poter leggere i misteri del cuore.
— Non è vero, – disse la fanciulla: – io lo posso fare, senza uccidere.
— Saresti più forte di me, – disse l‘uomo nero: – insegnami il tuo segreto e ti concedo la vita.
— Però devi promettermi di non uccidere più mai, – disse Ausania.
— Sì, lo prometto, ma se menti, mi vendicherò e la mia vendetta sarà terribile.
— Ebbene, – disse Ausania,ti mostrerò quanto sangue hai sparso inutilmente. – Ordinò ai tre discepoli di chiudere le finestre, poi prese per mano la bimba, le accostò al petto la macchinetta d‘Erasmo, dicendo:
— Voglio luce.
E da quel disco si sprigionò una luce intensa che rese il corpo della bimba quasi trasparente in modo da poter distinguere il duplice movimento del cuore per spingere il sangue nelle vene, e leggere nell‘interno del corpo come in un libro aperto.
Il principe nero stava estatico a contemplare quello spettacolo, e disse:
— È un cuore innocente.
Poi rivoltosi ad Ausania soggiunse:
— Ancora, ancora, voglio vederne un altro.
Ed essa accostò il disco luminoso sul petto della fanciulla che l‘uomo nero trovò vibrante e pieno d‘amore, e quando venne la volta della donna rimasero muti, perchè lessero in quel cuore accasciato e stanco, tanto dolore che n‘ebbero un‘immensa pietà.
— M‘inchino al tuo sapere, – disse il principe nero ad Ausania, – riconosco che sei più forte di me, – e le fissò in volto gli occhi con un‘espressione che la fece impallidire. Poi avvicinandosele soggiunse con voce carezzevole:
— Tutto farò quello che vorrai, io sarò il tuo schiavo, ma tu devi esser mia; sarai regina, ma non sarà mai detto ch‘io ti lasci uscire dal mio regno.
Ausania a quelle parole provò come un colpo al cuore, ma ebbe la forza di non mostrarsi impaurita e di rispondere con voce calma e tranquilla.
— Mi sottometterò ai tuoi voleri, ma prima voglio scrutare il tuo cuore.
— Lo troverai pieno d‘amore per te, ecco, – e sì dicendo l‘uomo nero le presentò il seno.
Ausania fece un cenno ad Erasmo e volse al cielo la preghiera, di poter riuscire nella sua impresa.
Poi avvicinò il disco al cuore dell‘uomo nero; si vide un lampo abbagliante, s‘udì un rumore che fece tremare il castello e il principe cadde a terra come se fosse colpito dal fulmine.
— Che avvenne? – chiesero i discepoli esterrefatti.
— Il mostro è caduto, – disse Ausania, – il cielo lo ha punito delle sue colpe.
Essi, sorpresi di tanta potenza, ebbero timore per la loro vita e si gettarono ai piedi di Ausania domandando pietà; dissero ch‘erano vittime del principe nero, che anch‘essi erano stati attratti dal giardino incantato e per aver salva la vita erano stati costretti a divenire suoi complici.
— Vi perdono, – disse Ausania, – a patto che c‘insegniate ad uscire da questo luogo fatale.
Essi non si fecero ripetere quella preghiera e col il mezzo d‘un congegno meccanico piegarono l‘albero che stava ritto dall‘altra parte del fosso e si trasformò in un ponte sospeso per il quale passarono tutti insieme. Le donne non sapevano trovar parole per ringraziare Ausania d‘averle salvate da una morte orribile e gli uomini erano pieni d‘ammirazione.
Passato il ponte trovarono in giardino Erasmo che li attendeva con impazienza e venne loro incontro col volto raggiante dalla gioia.
— Che cosa sono questi fiori? – disse Ausania soffermandosi davanti a siepi di fiori strani e mai veduti.
Ve n‘erano di tutte le tinte: bianchi come la neve, rossi, rosei, di color cupo quasi nero, ma il più meraviglioso era il vederli rizzarsi sul gambo con un‘espressione quasi umana, con macchie che parevano occhi e la bocca aperta come per dir qualche cosa.
— Qui sono sepolti i corpi delle fanciulle uccise, – dissero i giovani, – i fiori bianchi sono l‘emblema dei cuori innocenti, quelli rossi sorsero dai cuori innamorati, e quelli scuri sono nutriti dal dolore. Osservate quante sfumature in questi fiori?
Ausania e le tre donne salvate da lei rimasero mute e meste davanti a quella fioritura umana, incerte se dovessero cogliere quei fiori, oppure adorarli.
— È meglio lasciarli fiorire e che possano ricevere il bacio del sole, forse soffrirebbero ad esser strappati dallo stelo, – disse Ausania.
— Ma come si fa ad uscire da questo labirinto? – chiese Erasmo ai giovani che servivano loro di guida.
— Aspettate, – e fatta scattare una molla caddero come, per incanto alcune siepi di fiori artificiali poste ad arte per togliere la possibilità di uscire a quelli che entravano.
Un bel sentiero, senza impedimento alcuno, videro aperto davanti ai loro passi, e per esso uscirono dal giardino con tutta facilità.
Appena si seppe nel regno la notizia delle loro avventure e l‘uccisione del mostro che menava strage nel giardino incantato, tutti andarono loro incontro a festeggiarli, e il re li volle ospitare nel suo palazzo,li colmò di onori e ricchezze e furono portati in trionfo.
Erasmo fu riguardato come il genio della scienza, ed Ausania, come la regina della bellezza, e tutti e due vennero lodati pel loro coraggio. Ma essi poco si curarono degli onori; felici e contenti di aver liberato il paese dall‘incubo che l‘opprimeva non pensavano che di godersi la vita. fra la gioia e la pace.
Il castello del principe nero fu fatto radere al suolo per ordine del re, ma fu invece coltivato con amore il giardino fiorito che lo circondava. Divenne un luogo sacro; tutti vollero innaffiare di lagrime quei fiori meravigliosi e andavano in quel luogo come ad un mesto pellegrinaggio.
Ausania ed Erasmo non mancavano di recarvisi spesso, e dopo aver vissuto per molti anni felici ed onorati, vollero esser sepolti in quel giardino in mezzo a quei fiori, dove i posteri fecero erigere un monumento perchè non andasse perduta la memoria della loro virtù e del loro coraggio.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Il principe nero
AUTORE: Cordelia
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Nel regno delle chimere : novelle fantastiche / di Cordelia - Milano: Fratelli Treves edit, 1898 - 283 p. ; 19 cm.
SOGGETTO:
FIC004000 FICTION / Classici
FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)