La storia di Plattner
di
H. G. Wells
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La storia di Plattner è o non è degna di fede?
Ecco un’occasione buona per fare una discussione! Da una parte abbiamo sette testimoni, anzi, per essere veramente esatti, ne abbiamo sei e mezzo; ed un fatto innegabile. Dall’altra parte abbiamo il pregiudizio, il buon senso, e l’opinione contraria. Mai non vi furono sette testimoni (anzi, sei e mezzo) apparentemente più attendibili; mai non vi fu un fatto più incontestabile che l’inversione della struttura anatomica di Goffredo Plattner, nè mai vi fu una storia più assurda di quella che stiamo per raccontare.
E la parte più assurda della storia è appunto Goffredo stesso, poichè io lo annovero come uno dei sette. Il cielo mi guardi dal dare, per amore di imparzialità, qualche peso alla superstizione, e dal condividere così il destino dei patroni di Eussapia.
Veramente, havvi qualcosa di poco chiaro nell’affare di Goffredo Plattner; ma che cosa sia questo elemento poco chiaro, lo dico francamente, non lo so. Io fui sorpreso del credito che venne posto a questa storia da persone serie. Ma sarà più semplice che io faccia il racconto al lettore senza altri commenti.
Goffredo Plattner, malgrado il suo nome, è un inglese autentico; suo padre era Alsaziano, venuto in Inghilterra verso il 1860, sposò una signorina inglese molto rispettabile, con precedenti affatto ineccepibili, e morì, dopo una vita sana e priva di avvenimenti eccezionali, nel 1887. Goffredo ha ventisette anni. In grazia delle tre lingue che egli conosce fin dalla nascita, egli è maestro di lingue moderne in una piccola scuola privata del Mezzodì d’Inghilterra. Per chi l’osserva superficialmente egli è come qualsiasi altro professore di lingua, in qualsiasi scuola privata. Il suo vestire non è nè elegante nè alla moda, ma non è neppure dimesso nè misero; il suo portamento, il suo colorito, non hanno nulla di particolare; solo la sua faccia può attirare l’attenzione di un osservatore, chè non è perfettamente simmetrica: ha l’occhio destro un po’ più piccolo del sinistro, ed una guancia un po’ più arrotondata a destra. Se voi, come un osservatore superficiale, gli ascoltate il petto e sentite i battiti del suo cuore, troverete forse che egli ha il cuore che batte come tutti gli altri mortali. Ma a questo punto voi non sareste più d’accordo con un osservatore più attento. Se voi gli trovate il cuore come tutti gli altri, egli lo troverebbe assai differente.
E una volta posto in guardia, anche voi trovereste assai facilmente la sua particolarità. E questa è che il cuore di Goffredo batte dalla parte destra anzichè dalla sinistra del suo petto.
Ora questa non è la sola particolarità della struttura fisica di Goffredo, benchè sia la sola che colpisca una mente comune. Un esame attento sulla conformazione interna di Goffredo, fatto da un celebre chirurgo, pare abbia stabilito che anche tutte le altre parti non simmetriche del suo corpo sono mal postate.
Egli ha il lobo destro del fegato a sinistra, ed il sinistro a destra; parimenti ha i polmoni invertiti. Cosa ancora più strana si è che, a meno che Goffredo non sia un perfetto simulatore, noi siamo obbligati a credere che da poco da destro è diventato mancino.
Dal giorno in cui gli successe quanto stiamo per narrarvi, egli prova la più grande difficoltà a scrivere, a meno che non vada da destra a sinistra sulla carta, e servendosi della mano sinistra.
Non può gettare qualcosa colla mano destra; a tavola, è imbarazzato fra la forchetta ed il coltello, e le sue idee sull’ordine di tenere la destra o la sinistra per la strada, poichè egli è un buon ciclista, sono sempre in una confusione pericolosa. E non v’è alcuna ragione per credere che prima di quanto accadde, Goffredo fosse mancino.
Vi è però un fatto strano in questa storia, così meravigliosa. Goffredo ha tre fotografie di sè stesso: l’una all’età di cinque o sei anni in abito scozzese, con le gambe grosse e la fronte rugosa. In questa fotografia egli ha l’occhio sinistro un po’ più grande del destro e la guancia un po’ più ingrossata a sinistra. Precisamente il contrario delle sue condizioni attuali. L’altra fotografia di Goffredo a quattordici anni sembra contraddire questo fatto, ma ciò proviene da che questa fotografia è una di quelle a buon mercato; che allora erano di moda, fatta direttamente sul metallo, e quindi dànno l’immagine rovesciata come in uno specchio. La terza fotografia ce lo rappresenta a ventun anno e ci dà la conferma delle altre. Quindi noi abbiamo la prova evidente della supposizione che la destra e la sinistra si siano invertite per Goffredo. Ma possiamo noi credere che un essere umano possa cambiarsi in tal modo, salvo che si tratti di un miracolo?
Naturalmente questo fatto si potrebbe forse spiegare supponendo che Plattner abbia intrapresa una elaborata mistificazione approfittando della dislocazione del suo cuore. Una fotografia si può anche simulare. Ma il carattere del nostro protagonista non si presta a questa idea. Egli è tranquillo, pratico, modesto e perfettamente sano, dal punto di vista di Max Nordau.
Ama la birra, fuma con moderazione, passeggia ogni giorno, ed ha un alto concetto del suo insegnamento. Ha una bella voce da tenore benchè non l’abbia mai esercitata, si diverte a cantare canzonette popolari e piuttosto allegre. Si compiace nella lettura di opere d’immaginazione, sopratutto se un poco ottimiste, dorme bene, sogna di rado, insomma egli è l’ultima persona a cui si potrebbe attribuire una avventura fantastica.
Infatti, ben lungi dall’imporre al mondo questa sua storia, egli ebbe invece a questo riguardo alcune reticenze molto singolari; egli riceve coloro che lo visitano con una timidezza che sconcerta i più sospettosi. Pare quasi vergognarsi che gli sia successo qualcosa di anormale proprio a lui.
È veramente da lamentarsi che per l’avversione di Plattner a lasciarsi fare un’autopsia dopo morto, resti forse per sempre nel buio la vera prova della trasposizione avvenuta nel suo corpo. Questo soltanto potrebbe provare la veridicità del fatto. Non c’è modo di prender un uomo e di farlo muovere nello spazio, nel senso comune della parola, e di fargli cambiare di parte. Checchè si faccia, la destra sarà sempre destra, e la sinistra sempre sinistra. Naturalmente con un oggetto perfettamente piatto e sottile potreste fare altrimenti. Se tagliate con le forbici un pezzo di carta a mo’ di figurina, potrete invertire la destra e la sinistra di detta figurina voltandola dalla parte opposta. Ma con un corpo solido è un’altra cosa. I teorici matematici c’insegnano che il solo mezzo per cambiare la destra o la sinistra di un corpo solido, è quello di sottrarre questo corpo allo spazio, o, come l’intendiamo noi, sottrarlo dall’esistenza ordinaria, e di situarlo in modo qualunque fuori dello spazio. Questo è un poco astruso, se si vuole, ma chiunque conosca un po’ di teoria matematica può spiegare al lettore la verità. Per esprimerci con un linguaggio tecnico, la singolare inversione della destra e della sinistra di Plattner è una prova che egli si è sottratto allo spazio nostro, cioè a quello che noi chiamiamo le quattro dimensioni; e che poi è ritornato di nuovo in questo mondo.
A meno che preferiamo crederci vittime di uno studiato ed ingiustificato inganno, noi siamo portati a credere che questo sia successo.
E tutto questo sia detto riguardo ai fatti sensibili. Veniamo ora al racconto dei fenomeni che riguardano la sua temporanea scomparsa dal mondo. Pare che nella scuola privata di Sussexville, Plattner non avesse solamente il posto di professore di lingue moderne, ma anche quello di professore chimico, di geografia commerciale, di tenuta di libri, di disegno e di qualche altra scienza ancora, a cui la fantasia mutevole dei padri degli scolari poteva rivolgersi. Egli ne sapeva poco o nulla delle varie materie, ma nelle scuole private, il sapere nei professori è veramente assai meno necessario della moralità ineccepibile e dei buoni modi. In chimica sopratutto egli era molto deficente, non conosceva che i tre gas, diceva lui, senza darsi pensiero di ciò che potessero essere. Siccome però i suoi allievi incominciavano, affatto ignari, le lezioni, e ricevevano da lui tutta la loro istruzione, la sua ignoranza non ebbe per molto tempo alcun inconveniente nè per lui nè per gli altri. Ma un bel giorno venne alla scuola un fanciullo per nome Whibble, educato, si vede, dai suoi genitori, con una certa abitudine di curiosità. Questo fanciullo seguiva con molto interesse le lezioni di Plattner, e per far mostra del suo zelo, portava di quando in quando qualche sostanza perchè Plattner gliela esaminasse. Plattner, glorioso per questa prova evidente dell’interesse che sapeva destare, e fidente nell’ignoranza del fanciullo, analizzava queste sostanze, e faceva anche dei rapporti sulla loro composizione. Ed era tanto stimolato dal suo allievo, che comperò un trattato di chimica analitica, e si pose a studiarlo con passione. Egli fu assai sorpreso di trovare la chimica tanto interessante.
Fin qui la nostra storia non ha nulla di speciale. Ma ora viene in scena una certa polvere verde. L’origine di questa polvere pare, sfortunatamente, perduta. Whibble racconta assai vagamente che la trovò tale e quale in un pacco, in un vecchio forno a calce vicino a Dorons.
Sarebbe stata un’ottima cosa per Plattner, e forse anche per la famiglia del giovane Whibble, se si fosse avvicinato un fiammifero a quella polvere appena scoperta. Il fanciullo non la portò certamente a scuola in un pacco, ma in un botticino graduato da medicinali e turato con carta grossa. Egli lo rimise nelle mani di Plattner all’uscita della lezione del pomeriggio. Quattro allievi erano stati trattenuti dopo la preghiera, per compiere un lavoro che avevano tralasciato, e Plattner stava assistendoli nella piccola stanza ove si compiono gli esperimenti di chimica. Il materiale d’insegnamento pratico di chimica, nella scuola privata di Sussexville è, come nella maggior parte delle scuole di quel paese, caratterizzato da una severa semplicità. Esso è rinchiuso in un piccolo armadio, e potrebbe essere contenuto in una valigia ordinaria da viaggio.
Plattner, annoiato del suo còmpito di sorvegliante, parve accettare Whibble e la sua polvere come una gradevole diversione, ed aperto l’armadio si mise subito all’opera. Whibble si pose a sedere ad una rispettosa distanza. I quattro allievi recalcitranti, fingendo di essere intenti al loro lavoro, osservavano il maestro di soppiatto col più grande interesse; poichè anche nel dominio dei tre gas, la pratica chimica di Plattner era sempre, s’intende, piuttosto temeraria.
Tutti i testimonii sono unanimi nel raccontare ciò che avvenne a Plattner. Egli pose un poco di polvere nel provino e la trattò successivamente con acqua, con acido cloridrico, con acido nitrico e con acido solforico. Non avendo ottenuto alcun risultato, ne versò un poco, circa metà dell’ampolla, sopra un pezzo di ardesia e vi avvicinò un fiammifero. Egli teneva il botticino nella mano sinistra. La polvere incominciò a fumare, spandendo un odore acre, quindi fece una potente esplosione insieme ad un lampo acciecante.
I cinque fanciulli, vedendo la fiamma ed essendo istintivamente preparati alla catastrofe, si nascosero sotto al loro rispettivo tavolino, e nessuno di essi rimase offeso. Il telaio della finestra fu schiantato e cadde nel cortile della ricreazione, le lavagne furono rovesciate e l’ardesia se ne andò in frantumi. Dalla vôlta si staccarono pezzi di calcinaccio.
La casa ed il materiale scolastico non ebbero a patire altri danni, ed i ragazzi a tutta prima non vedendo più Plattner, credettero che fosse stato colpito e fosse caduto dall’altra parte della cattedra. Uscirono fuori del loro nascondiglio per cercare e soccorrere Plattner; ma rimasero sorpresi di vedere la cattedra vuota. Intontiti ancora dallo scoppio si precipitarono verso la porta supponendo che il loro professore si fosse slanciato fuori. Ma Carson, che precedeva gli altri, s’imbattè nel direttore signor Lidgett che appunto accorreva in quell’istante.
Il signor Lidgett è un uomo corpulento, facilmente irritabile, e possessore di un occhio solo. I fanciulli lo descrivono ancora traballante nella scuola, mentre mormorava qualcuna di quelle amenità che i maestri di scuola hanno l’abitudine di dire, quando è successo qualche cosa. «Maledetto! – egli esclamò. – Dov’è il signor Plattner?» Però i ragazzi sono d’accordo nel dire che le parole testuali furono: «Animale! imbecille!» E ciò ad onor del vero, perchè pare che queste siano le espressioni abituali di cui si serve il signor Lidgett nella scuola.
Dov’è il signor Plattner? Ecco una domanda, che fu sovente ripetuta nei giorni seguenti. Pareva proprio che l’iperbolica espressione: *ridotta in polvere* si fosse realizzata! Non v’era più traccia di Plattner! Non una goccia di sangue, non un lembo di vestito! Apparentemente egli era stato sottratto da questa esistenza, senza lasciare alcuna traccia di sè!
Neppure da coprire un soldo! come dice il proverbio. La sua completa scomparsa in seguito all’esplosione, è un fatto evidente.
Non è necessario riportare qui tutta l’emozione che il fatto produsse nella scuola privata di Sussexville, ed anche nel paese e dintorni.
Può essere che qualcuno dei lettori di queste pagine si ricordi di aver udito parlare, durante le vacanze dell’estate scorsa, di qualche versione vaga ed indiretta di quest’avvenimento.
Lidgett deve aver fatto tutto il suo possibile, a quanto pare, per attutire e menomare il fatto. Stabilì una pena di venticinque righe da copiare, per chi avesse fatto accenno al nome di Plattner, e dichiarò, in iscuola, ch’egli sapeva benissimo dov’era il maestro. Egli temeva che la possibilità di uno scoppio, malgrado le meticolose precauzioni che aveva per l’insegnamento pratico della chimica, e la misteriosa scomparsa di Plattner, facessero torto alla reputazione della scuola.
Veramente egli fece quanto era in suo potere per far parere questa circostanza più naturale che fosse possibile. Egli cominciò ad interrogare i cinque testimoni oculari del fatto in un modo così strano che essi giunsero persino a dubitare dei loro stessi sensi.
Malgrado i suoi sforzi però, il fatto, snaturato ed ingrandito, fece grande impressione nel paese durante parecchi giorni, e varie famiglie sotto diversi pretesti ritirarono i loro figli dalla scuola.
Ciò che è piuttosto strano si è che molte persone del vicinato sognarono Goffredo Plattner durante il periodo di maggior inquietudine che precedette il suo ritorno, e tutti questi segni avevano una singolare rassomiglianza fra di loro. In quasi tutti si era visto Plattner, alle volte solo, alle volte accompagnato, vagante in mezzo a vapori iridescenti.
Egli aveva sempre la faccia smunta e pallida, e spesso gesticolava davanti ai sognatori. Alcuni fanciulli, certo sotto l’influenza dell’incubo, sognavano, che Plattner si avvicinava loro con grande leggerezza e li fissava lungamente negli occhi. Altri videro in sogno Plattner accompagnato da esseri vaghi e straordinarii e di forma globulare!
Ma tutte queste fantasie furono dimenticate, e si passò presto alle ricerche ed alle supposizioni; finchè, dopo nove giorni da quello in cui avvenne lo scoppio, Plattner ricomparve.
Le circostanze del suo ritorno furono altrettanto strane quanto quelle della sua partenza. Per quanto potemmo sapere dal carattere collerico di Lidgett e dalle confessioni di Plattner, pare che il mercoledì sera, verso il tramontar del sole, il direttore della scuola, dopo aver finito il suo còmpito giornaliero, stesse raccogliendo e mangiando nel suo giardino delle fragole, di cui era molto goloso.
Il giardino è ancor di quelli all’antica, cioè molto grande, protetto dagli sguardi indiscreti dei vicini da un alto muro coperto di edera.
Appunto nel momento in cui egli stava curvo sopra una pianta molto prolifica, vi fu nell’aria, d’un tratto, un bagliore improvviso accompagnato da una cupa detonazione, e prima ch’egli avesse avuto il tempo di guardare intorno a sè, un corpo pesante venne a cadergli sulla schiena. Egli fu proiettato in avanti, le fragole che aveva in mano si schiacciarono, ed il cilindro (il signor Lidgett era fedele alle antiche idee sul vestito del direttore di collegio) gli sprofondò in testa in modo da coprire quasi interamente l’unico suo occhio!
Il pesante corpo che eragli caduto sulla schiena per poi andare a finire fra le piante di fragole, non era altri che il signor Plattner. Ma in che stato deplorevole!!
Era senza cappello e senza solino, gli abiti sporchi e laceri, e le mani imbrattate di sangue. Il signor Lidgett rimase così esterrefatto e sdegnato che se ne stette carponi come un cane col suo cilindro fin sugli occhi, mentre interrogava con violenza Plattner sulla sua condotta altrettanto poco rispettosa quanto inconcepibile.
Questa scena poco idillica completa ciò che possiamo chiamare la parte esterna della storia di Plattner, la versione esoterica. È inutile entrare qui nei particolari del benservito che il signor Lidgett gli diede subito.
Tutti questi dettagli con nomi, date, referenze, ecc., si possono trovare negli atti del rapporto che fu fatto di questa storia, davanti alla Società delle ricerche intorno ai fenomeni soprannaturali. Pei primi giorni la strana trasposizione della parte destra colla sinistra fu appena osservata in Plattner; non venne osservata che quando lo si vide scrivere da destra a sinistra sulla lavagna.
Lungi dal vantarsene, egli più che altri nascondeva questa sua condizione bizzarra, pensando che gli sarebbe stata di impedimento per trovare un altro posto. La dislocazione del suo cuore fu scoperta molti mesi dopo, quando gli si dovette estirpare un dente, dopo averlo cloroformizzato. Contro ogni suo desiderio allora egli si lasciò fare una visita medica, per poterne fare un breve rapporto sul Giornale di Anatomia. Con questo finisce il resoconto dei fatti materiali, ed ora noi possiamo passare al racconto di Plattner stesso.
Ma prima di tutto bisogna stabilire chiaramente la differenza fra tutto ciò che precede questo racconto e tutto ciò che segue.
Le cose che ho narrato finora sono provate con una certezza assoluta, tale da accontentare magari un giudice d’istruzione! Tutti i testimoni sono ancora vivi; il lettore, se ne ha piacere, può ritrovare domani tutti gli allievi, e persino affrontare il tremendo signor Lidgett, ed esaminare, vagliare e vedere finchè sia contento Goffredo Plattner stesso, il suo cuore capriccioso e le sue tre fotografie.
Si può ritenere come provato che egli scomparve per nove giorni in seguito allo scoppio, che egli ritornò in modo violento, e in circostanze noiose forse pel signor Lidgett, ma che egli ritornò invertito, proprio come un’immagine è invertita nello specchio.
Da questo ultimo fatto, come ho già detto, ne segue che inevitabilmente Plattner, durante questi nove giorni, deve aver vissuto fuori in un’esistenza che non è nello spazio! Le prove sono molto più evidenti di quelle per cui viene impiccato un delinquente. Ma in quanto alla descrizione dei luoghi dove è stato, luoghi dei quali egli parla in modo molto confuso e contradditorio, noi non abbiamo che il suo racconto. Io non voglio con questo gettare il discredito sulla sua parola, ma contrariamente a quanto fanno molte persone che descrivono dei fenomeni fisici oscuri, debbo qui osservare che noi passiamo ora da ciò che è notoriamente incontestabile ad un altro ordine di considerazioni che ogni persona ragionevole ha il diritto di accettare o di rigettare, come meglio gli parrà.
Tutto ciò che precede, lo rende plausibile, ma d’altra parte è tutto talmente contrario al buon senso, che quasi raggiunge l’incredibile.
Vorrei, senza avere la pretesa di esercitare la menoma influenza sul lettore, semplicemente riportare il fatto tale e quale me lo ha raccontato Plattner.
Mi fece il suo racconto, potrei provarlo, a casa mia; ed appena mi lasciò, la sera stessa, mi rinchiusi nel mio gabinetto da lavoro per mettere sulla carta quanto mi aveva narrato.
Più tardi mi usò la cortesia di rileggere il mio rapporto, copiato a macchina, dunque non si può dubitare dell’esattezza materiale di questo racconto.
Plattner dunque narra che al momento dell’esplosione credette di rimanere ucciso. Si sentì sollevare da terra e spingere indietro da una forza possente. È un’osservazione importante per la fisiologia: egli conservava ancora coscienza delle cose in quell’urto violento, e cercava di sapere se avrebbe urtato nell’armadio di chimica o nella lavagna. Cadde prima in piedi, traballò, indi cadde pesantemente su qualcosa di soffice e di solido ad un tempo. Il contraccolpo lo rese per un momento intontito, poi sentì un forte odore di capelli bruciati, e gli parve di udire la voce di Lidgett che lo chiamava ripetutamente. Capirete benissimo che la sua mente era alquanto turbata!
Dapprima egli ebbe nettamente la sensazione di essere ancora nella scuola. Si accorse benissimo della sorpresa, e dello spavento degli scolari, e vide pure Lidgett entrare nella sala. E questo è certo! Non v’ha dubbio!
Egli non udiva, però le loro parole, ma questo egli lo attribuisce all’effetto dello scoppio. Intorno a sè tutto gli pareva oscuro e incolore, ed egli credeva, benchè erroneamente, che l’esplosione avesse prodotto un enorme volume di denso fumo. Nell’oscurità le forme di Lidgett e dei ragazzi si agitavano, pallide, silenziose come ombre.
Aveva la faccia bollente pel gran calore che si era sviluppato. Il suo primo pensiero lucido fu quello di constatare che era ancora in vita. Temeva di essere forse rimasto sordo e cieco: inquieto di ciò, andava tastandosi.
A poco a poco le sue sensazioni divennero più nette, e fu stupito di non vedere più davanti a sè il solito tavolino ed il materiale scolastico. Vedeva invece delle forme oscure, incerte, paurose. Ad un tratto si mise ad urlare e tosto due scolari, facendo dei grandi gesti colle braccia, gli passavano attraverso il corpo! Nessuno dei due ragazzi pareva darsi pensiero dell’ostacolo che attraversava. È difficile immaginare l’impressione che provava. Essi lo urtavano, diceva egli, tanto leggermente, che parevagli di essere avvolto da una nuvola di vapore!
Allora Plattner ebbe subito l’idea di esser morto. Tuttavia, educato com’era stato con idee sane, egli si stupiva di trovare che il suo corpo si mantenesse intatto. La seconda conclusione allora fu che non era ancora morto, ma che lo erano gli altri! Certo l’esplosione aveva distrutto la scuola di Sussexville e tutte le persone che vi si trovavano, eccetto lui stesso.
Si pose ad osservare meglio, e vide delle cose che lo stupirono assai.
Intorno a lui non c’erano che tenebre, tutto gli pareva nero come ebano. Persino il firmamento sopra il suo capo era nero. L’unica nota luminosa del quadro era una debole luce verdastra verso l’orizzonte.
Poco dopo l’occhio si abituò all’ambiente oscuro ed incominciò a distinguere, nella notte circostante, una specie di mezza tinta verdastra. Su questo sfondo i mobili e le persone della scuola sembravano staccarsi come spettri fosforescenti pallidi ed impalpabili. Distese il braccio, e senza difficoltà passò la mano attraverso il muro della scuola, presso al camino.
A questo punto egli racconta che fece uno sforzo violento per farsi scorgere. Chiamò Lidgett a squarciagola, tentò di fermare i ragazzi che andavano e venivano. Non interruppe i suoi tentativi se non quando la signora Lidgett (che egli naturalmente nella sua qualità di maestro subalterno non amava) entrò nella stanza. Egli dice che quella sensazione di essere nel mondo senza però essere scorto dagli altri, è particolarmente sgradevole. E paragonava giustamente le sue impressioni a quelle di un gatto che spia un topo attraverso un vetro.
Tutte le volte che faceva un movimento per comunicare col mondo esterno che lo circondava, egli trovavasi davanti ad una barriera invisibile ed insormontabile!
Allora rivolse la sua attenzione verso gli oggetti che lo circondavano. – Si accorse che aveva ancora in mano la boccetta, sempre intatta, contenente il rimanente della polvere verde; se la pose in tasca ed incominciò a stupirsi. Apparentemente egli stava seduto sopra una roccia coperta d’una muffa pari a velluto. Non poteva distinguere il paesaggio circostante, chè glielo impediva l’ambiente affumicato della scuola, ma aveva la sensazione (dovuta forse ad un vento freddo) di essere vicino alla sommità d’una montagna, e che una valle ben profonda si apriva ai suoi piedi. La luce verdastra che riempiva il cielo pareva crescere ed aumentare. Egli si alzò fregandosi gli occhi.
Gli parve di fare qualche passo, scendendo la rapida china, poichè traballò più volte, e quasi cadde a terra; allora si sedette di nuovo sopra una roccia acuta, aspettando l’aurora. Si avvide che attorno a lui il mondo era completamente silenzioso, calmo ed oscuro, e benchè un vento freddo soffiasse dalla collina, pure il fremito delle fronde degli alberi che avrebbe dovuto sentirsi, gli era affatto impercettibile. Plattner adunque, se non vedeva, poteva sentire che il versante della collina era roccioso ed aspro.
Da un momento all’altro il verde diventava più chiaro, una pallida luce mista ad un colore rosso sangue appariva di quando in quando senza però attenuare l’oscurità del cielo e la desolazione della montagna all’ingiro. Ad un tratto il suono rauco e squillante d’una campana si sollevò dal nero abisso che si stendeva davanti a lui. L’oppressione dovuta all’aspettativa cresceva a misura che la luce appariva maggiormente.
Durante tutta un’ora, e più ancora forse, egli rimase colà seduto, mentre la strana luce verde si faceva sempre più viva e si spandeva con una striscia sfolgorante fino al sommo del cielo.
In quell’alba la visione spettrale del nostro mondo diventava per Plattner sempre più pallida, in realtà era forse giusto perchè doveva esser per noi all’incirca l’ora del tramonto del sole.
Plattner per arrivare alla collina doveva esser passato attraverso la vôlta della scuola, ed ora si trovava seduto in aria, e proprio nella sala della classe più anziana. Egli vedeva distintamente gli scolari, ma meno nettamente di quello che avesse veduto Lidgett.
Essi erano intenti a fare il loro còmpito della sera, e si compiacque a vedere che qualcuno di essi era intento a preparare di soppiatto il problema di geometria per mezzo di un soluzionario, di cui egli non aveva mai sospettato l’esistenza. A poco a poco gli scolari svanirono in modo regolare, a misura che la luce verde dell’aurora si faceva più viva.
Guardando davanti a sè nella valle, Plattner vide che la luce si era sparsa sul versante roccioso fino in fondo alla valle stessa, e la profonda oscurità dell’abisso era rotta da una piccola luce verde simile a quella di una lucciola. Quasi subito un enorme corpo celeste di un verde brillante si innalzò sopra le ondulazioni della collina lontana, ed intorno a Plattner le masse mostruose delle alture si delinearono come fantasmi.
Plattner s’avvide che un numero considerevole di oggetti in forma di palle stavano sospesi, come nubi di cotone, sopra le alture.
E le campane in fondo alla valle suonavano a distesa, con un’insistenza sempre crescente, e molti lumi si agitavano qua e là.
I ragazzi all’opera davanti al loro banco erano diventati sempre più piccoli, quasi impercettibili.
Questa scomparsa del nostro mondo, quando si levò il sole verde di quell’altro universo, è una stranezza sulla quale Plattner insiste.
Durante la notte dell’altro mondo, è difficile muoversi, causa il bagliore col quale le cose di questo mondo si presentano. Fu un vero problema quello di spiegare come mai, se è così, noi in questo mondo non riceviamo alcun riflesso dall’altro. Questo è forse dovuto all’illuminazione piuttosto abbondante che noi abbiamo qui.
Plattner dice che in pieno giorno, all’altro mondo, non vi è tanta luce quanto ve n’è in questo durante una notte di luna piena.
Ho provato, dopochè Plattner m’ha raccontato la sua storia, a scoprire qualcosa dell’altro mondo, col mettermi a sedere la sera nella camera oscura di un fotografo.
Ho certamente veduto la sagoma della roccia e la china verdastra, ma, debbo confessarlo, in modo assai confuso. Può darsi che il lettore sia più fortunato di me. Plattner mi disse che dopo il suo ritorno vide in sogno e riconobbe parecchi luoghi dell’altro mondo, ma probabilmente è solo una suggestione dovuta ai ricordi che ha conservato di quei luoghi.
Pare quasi impossibile che una persona dotata di una vista eccezionale, possa vedere, attorno a noi, un riflesso delle cose dell’altro mondo!
Ma tutto ciò non è che una suggestione. Mentre il sole si alzava sull’orizzonte, una lunga fila di case fronteggiata da piante nere incominciò ad apparire, benchè molto confusa e oscura, nella valle. Dopo un poco d’esitazione, Plattner incominciò a scivolare giù per la china ripida che conduceva in quella direzione. La discesa fu piuttosto lunga e faticosa, non solamente per la sua rapidità straordinaria, ma anche per il calore che si sprigionava dalle pietre che coprivano tutta la superficie della collina. Il rumore del suo passaggio era il solo rumore che si sentiva in tutto l’universo, i suoi piedi di quando in quando producevano una scintilla sulla roccia; le campane avevano cessato di suonare. Avvicinandosi, si avvide che gli edifici rassomigliavano stranamente a tombe, a mausolei; soltanto erano neri invece di essere bianchi, come la maggior parte dei sepolcri.
Quindi vide uscire dal più vasto di questi edifici una folla come quella dei fedeli che esce di chiesa, una folla deforme, pallida, verdastra, rotonda, disperdersi in varie direzioni, lungo la vasta strada, sulla china della collina, od in piccole costruzioni nere che si trovavano lungo il cammino.
Alla vista di questi fantasmi, che si ergevano contro di lui, Plattner si arrestò stupito. Non camminavano, non avendo membra, sembravano teste umane, sopra le quali aleggiava il corpo. Egli era tanto sorpreso, tanto assorbito da questa visione fantastica, che non potè neppure spaventarsi seriamente. I fantasmi si dirigevano verso di lui spinti dal vento freddo che spirava dal basso, simili a tante bolle di sapone. Mentre guardava il fantasma più vicino che verso di lui si avanzava, si accorse che era veramente una testa umana, con occhi smisurati, e con un’espressione non mai vista sul volto di un mortale.
Con suo grandissimo stupore la testa non lo guardò; pareva che osservasse e seguisse qualche oggetto invisibile. Rimase sulle prime attonito, poi capì che quella testa, dagli occhi enormi, osservava qualcosa nel mondo che aveva lasciato. Ad un tratto essa si avvicinò a Plattner, e passandogli vicino lo colpì al viso. Fu come uno schiaffo, un leggiero fruscìo…. un freddo contatto…. e continuò la strada verso la sommità della collina.
Una strana idea passò nella mente di Plattner: che quella testa, cioè, rassomigliasse a Lidgett. Allora osservò attentamente le altre figure che ora si affollavano per ascendere la collina. Due o tre ancora gli passarono proprio vicino, e fecero come la prima; egli allora si ritrasse dal loro cammino. Tutte quasi gli parevano avere la stessa espressione di dolore o di rabbia, e tutte emettevano dei gemiti strazianti. Alcune piangevano ed altre poche avevano un aspetto di soddisfazione e di letizia.
Per qualche ora osservò quei fantasmi strani, vaganti su per la collina, e dopo un po’ che essi avevano completamente cessato di uscire da quell’edificio nero in fondo alla valle, egli riprese la sua difficile strada. Il buio era così fitto che non sapeva ove mettere i piedi, mentre sopra il suo capo il cielo era di un color verde pallido iridescente.
Dopo aver camminato per molto tempo faticosamente al buio, giunse all’ingresso di quel vasto monumento in forma di mausoleo, da cui erano usciti i fantasmi. Entrò e vi trovò numerosi lumicini verdi che ardevano sopra una specie di altare di basalto, e vide nel centro dell’edifizio una corda da campanile penzolante fino a terra.
Intorno al muro correva un’iscrizione in lettere di fuoco di un aspetto sconosciuto; e mentre stava chiedendo a sè stesso spiegazione di tutte queste strane cose, sentì nella strada un rumore di passi che si avvicinavano. Uscì correndo per le tenebre, ma non riuscì a distinguere nulla. Ebbe l’idea di tirare la corda del campanile, ma poi prese la decisione di seguire i passi che aveva sentito; ma benchè corresse a perdifiato, non potè mai raggiungere nè vedere chi camminasse.
La valle gli pareva di una lunghezza sterminata; tutto era buio, e solo una luce verde brillante si stendeva lungo la cresta della collina.
Tutte le teste erano passate oramai innanzi a Plattner ed ora erano intente ad ascendere la china; ed alzando gli occhi Plattner le vedeva salire, qua e là, volteggianti l’una sull’altra, leggiere nello spazio, quasi grosse falde di neve; ma falde non candide, sì bene nere o verdastre.
Plattner narra che durante i nove giorni della sua sparizione non fece altro che seguire quei passi che mai potè raggiungere e che non cambiavano mai di direzione; egli narra inoltre che non parlò mai con nessuno, e dormì quasi sempre sulla roccia nuda della collina.
Molte volte scivolava sulla china ripidissima della collina fin sull’orlo di un precipizio, altre volte invece vedeva le vie di Sussexville e gli pareva di passeggiarvi osservando, non visto, tutto ciò che succedeva dentro e fuori delle case. E fu allora che scoperse che nel mondo quasi ogni essere vivente ha qualche testa sulla montagna e che quaggiù ognuno è vigilato da una di quelle creature senza corpo.
E per dimostrare la verità del suo asserto, Plattner narra che due di queste teste, quando l’incontrarono, lo seguirono e gli risvegliarono il ricordo infantile di suo padre e di sua madre. Di quando in quando, altre figure volgevano gli occhi verso di lui, occhi simili a quelli di persone morte, che durante la loro vita lo avevano consigliato, o aiutato durante l’infanzia o l’adolescenza. Ogni volta che lo guardavano, Plattner si sentiva invaso da un sentimento strano di responsabilità. Tentò di parlare a sua madre, ma non gli rispose. Essa lo guardò malinconicamente e teneramente, nel suo sguardo parve a Plattner vi fosse anche un po’ di rimprovero.
Noi possiamo pensare ciò che vogliamo di questi esseri che vigilano i viventi. Se sono morti veramente, perchè s’interessano con tanta passione di un mondo che hanno lasciato per sempre? Può darsi, e mi par giusto, che alla fine della nostra esistenza, quando non abbiamo più da scegliere fra il bene e il male, noi dobbiamo ancora assistere ai risultati, alle conseguenze delle nostre azioni! Se le anime umane sopravvivessero dopo morte, certo l’interesse che esse avevano per le cose umane si prolungherebbe pure; ma questa non è che una supposizione mia! Plattner, però, non ci fornisce spiegazione alcuna intorno a ciò ch’egli lascia scritto; il lettore cerchi egli stesso la spiegazione che più gli aggrada.
Certo è che il carattere soprannaturale delle cose che lo circondavano, lo gettava in un abbattimento morale veramente doloroso. Sopratutto i due fantasmi che stavano accanto a lui continuamente lo tormentavano in modo strano. Avrebbe voluto gridar loro: «Cessate dal guardarmi così!» avrebbe voluto insultarli, fuggirli; ma restava sempre muto coll’occhio fisso. Invano correva con tutte le sue forze sul terreno ineguale; i due fantasmi lo seguivano dovunque. Il nono giorno, verso sera, Plattner udì in basso il rumore di passi diretti verso di lui. Egli stava errando sulla sommità della collina su cui era caduto il primo giorno della sua entrata in quel mondo misterioso. Fece uno sforzo per precipitarsi a valle; ma fu fermato dalla vista di qualcosa che avveniva in una camera, in fondo ad una viuzza, presso alla scuola. Egli conosceva di vista le due persone che stavano nella camera. La finestra era aperta, le tendine erano alzate, ed il sole entrava nella stanza in modo che il quadro si presentava come in una lanterna magica in mezzo al passaggio oscuro ed alla luce verde e pallida. Sul letto stava disteso un uomo, dalla figura smunta e cadaverica; aveva le mani giunte alzate sopra il capo. Vicino al letto stavano, sulla tavola, alcune boccette di medicina, delle vivande, una bottiglia d’acqua ed un bicchiere. Di quando in quando il malato apriva le labbra per pronunziare una parola, che poi non articolava; ma non poteva vedere la donna che gli stava accanto, perchè intenta a scegliere delle carte in un cassetto di un vecchio mobile.
Da principio questa scena era stata ben illuminata; ma man mano che l’aurora verde dello sfondo prendeva una tinta più viva, il quadro si affievoliva e diventava più trasparente. Ed ecco che i passi risonanti si avvicinavano, e Plattner vide una moltitudine di figure confuse che uscivano insieme dalle tenebre e venivano a spiare i due personaggi di questa scena intima. Mai fino a questo punto Plattner aveva veduto tanti guardiani di esseri umani! Molti di essi non guardavano che l’ammalato, altri, molti, pieni d’angoscia infinita, guardavano la donna, mentre essa cercava avidamente qualcosa che non trovava. I fantasmi si affollavano intorno a Plattner, si mettevano davanti a lui, gli sfioravano il viso, ed egli udiva i loro lamenti.
Nella camera tutto doveva essere perfettamente tranquillo; Plattner dice che la fiamma della candela mandava verso la vôlta un piccolo filo di fumo, ma alle sue orecchie il rumore di ogni passo era come un’eco e pari ad un rombo di tuono. E le teste? Due fantasmi, specialmente, presso alla donna attirarono la sua attenzione. Senza dubbio, dovevano essere il padre e la madre, morti, di quella donna! E quelle due teste, a giudicare dalla loro espressione, parevano assorbite nello spettacolo di un’ignobile azione; ma erano incapaci di impedirla! Dietro ad essi altri fantasmi, forse professori che avevano dato cattive lezioni, amici che invano avevano dato buoni consigli. E chinati innanzi all’ammalato una folla di fantasmi, che non parevano esser stati nè parenti nè maestri, figure che erano state dure una volta, ma a cui il dolore aveva lasciato un impronta caratteristica. In prima fila, una sola figura, quella di una fanciulla, non aveva nè l’aspetto del rimorso nè quello della collera, era invece paziente e tranquilla: Plattner credette scorgervi la speranza di una prossima liberazione. Ad un tratto cessò il rumore di passi, ascoltò, vi fu una pausa, poi la campana incominciò a suonare ed un numero sterminato di teste si mise a girare intorno a lui, gemendo e sospirando. La donna non sentiva nulla, bruciava qualcosa alla candela. Al secondo colpo di campana, tutta la scena incominciò a tremare, ed un vento glaciale soffiò in mezzo ai fantasmi. Essi allora si agitarono intorno a Plattner nella stessa guisa delle foglie d’autunno quando cadono dagli alberi. Al terzo colpo un raggio lunghissimo di luce oscura attraversando la folla dei fantasmi si diresse diritto al letto dell’ammalato. Voi conoscete che cosa sia un raggio di luce? Ebbene, questo fu un raggio di oscurità! Guardando meglio, Plattner riconobbe che erano un braccio ed una mano spettrale! Il sole verdastro teneva l’orizzonte nudo e oscuro, e nella camera tutto si faceva più confuso. Plattner potè vedere la forma bianca sul letto dibattersi convulsivamente, mentre la donna che assisteva rimaneva esterrefatta.
Il nuvolo di guardiani, sollevando un pulviscolo verde che si agitava nell’aria, se ne fuggì rapidamente verso il tempio in fondo alla valle. Allora Plattner capì subito che cosa fosse quel braccio spettrale che oramai aveva afferrato la sua preda. Ed infatti non osò neppure voltare la testa per vedere a chi appartenesse il braccio. Con uno sforzo violento, coprendosi il volto colle mani, si mise a correre, fece forse venti passi, indi scivolò e cadde. Cadde in avanti sulle mani, e la boccetta colla polvere che ancora aveva in tasca, scoppiò nell’istante in cui egli toccò la terra. Un momento dopo si trovava intontito e sanguinante, seduto in faccia a Lidgett nel vecchio giardino circondato dal muro, dietro alla scuola.
Qui finisce la triste avventura di Plattner. Credo di aver resistito vittoriosamente alla tentazione che prova naturalmente un romanziere di adornare di incidenti la narrazione di un fatto reale.
Ho raccontato il fatto quale successe; e per quanto mi fu possibile, nello stesso ordine in cui Plattner me lo ha narrato, ho evitato con ogni cura qualsiasi retorica, qualsiasi ricerca di effetto e di colpi di scena.
Mi sarebbe piaciuto, per esempio, fare un episodio drammatico del quadro della morte, nel quale Plattner avesse avuto una parte; ma avrei certamente sciupato la narrazione di quel mondo così strano illuminato dalla luce verde pallida, e popolato da quegli strani guardiani, che benchè invisibili ed intangibili, pure ci stanno intorno in questo mondo.
Non mi rimane più che parlare di una morte che avvenne realmente nel quartiere del terrazzo, dietro alla scuola, e proprio nel momento del ritorno di Plattner. Il defunto era un precettore, e nello stesso tempo agente di assicurazioni. La vedova, molto più giovane di lui, ha sposato nel mese scorso Whymper, il veterinario di Allbeeding.
Siccome la parte di questo racconto che si occupa di lei si è alquanto alterata passando di bocca in bocca, così questa signora ha permesso che venisse stampato il suo nome, a condizione che io dichiarassi ch’ella smentisce con energia tutti i particolari riportati da Plattner sugli ultimi momenti del suo primo marito. Ella non ha bruciato, dice, alcun testamento, benchè Plattner non l’abbia mai accusata di una cosa simile. Il suo primo marito non aveva fatto che un solo testamento il giorno dopo il suo matrimonio.
Concludendo, noi diremo che l’assenza di Plattner da questo mondo per nove giorni, è stata provata; ma questo non garantisce la verità del suo racconto. Il lettore farà cosa ottima credendo piuttosto alle allucinazioni anzichè ad altre cose.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: La storia di Plattner
AUTORE: Wells, Herbert George
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Novelle straordinarie / H. G. Wells ; [illustrazioni di Celso Ondano]. - Milano : Fratelli Treves, 1905. - 211 p., [10] c. di tav. : ill. ; 27 cm.
SOGGETTO:
FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)
FIC028040 FICTION / Fantascienza / Brevi Racconti