Pollock ed il Porroh ovvero la testa tagliata.nota 1
di
H. G. Wells
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Pollock ed il Porroh s’incontrarono per la prima volta in un villaggio paludoso, sulla laguna dietro la penisola di Turner. Le donne di questo paese sono assai belle e nelle loro vene scorre sangue europeo fin dai tempi di Vasco di Gama e degli Inglesi mercanti di schiavi. Anche il Porroh aveva qualche traccia di discendenza caucasica: e non vi sarebbe da far meraviglia se qualcuno di noi avesse, senza saperlo, un lontano parente che cavalcasse a fianco de’ Sofalinota 2 o che mangiasse carne umana nell’Isola di Sherboro!
Comunque sia, il Porroh colpì la donna al cuore come un volgare malfattore e risparmiò per poco Pollock. Questi parò il colpo, sparando colla rivoltella, ed il proiettile ferì la mano dell’avversario disarmandola del pugnale. Sparò una seconda volta; ma invano, perchè non fece altro che un buco nella parete della capanna, ed il Porroh chinandosi all’indietro sulla soglia dell’uscio, lanciò uno sguardo feroce a Pollock e questi intravide quel viso rovesciato, illuminato dal sole, indi si trovò solo, nella penombra della capanna spaventato e scombussolato dalla commozione. Tutto ciò avvenne in meno che non si dica.
La donna era morta. Dopo essersene accertato, Pollock andò sull’uscio e guardò fuori.
Il sole illuminava la vasta pianura con uno splendore abbagliante, e parecchi portatori della spedizione erano accorsi meravigliati innanzi alle loro capanne, interrogandosi a vicenda sulla provenienza e sulla causa di quei due spari.
In lontananza scorgevasi una larga estensione di fango nerastro e fetido, quindi il fiume, dopo il fiume un verde tappeto di foglie e di piante acquatiche e la immensa palude, ed i manghinota 3al di là del fiume apparivano a mala pena, confusi nella nebbia dell’orizzonte.
Pollock uscì cautamente dalla capanna e si avviò verso il fiume, voltandosi indietro di tanto in tanto, e stringendo con mano nervosa la rivoltella; ma il Porroh era scomparso.
Uno dei portatori si avvicinò a Pollock e gli indicò colla mano un grosso cespuglio nel quale era sparito il Porroh. Ma Pollock ebbe la convinzione sgradevole di essersi scioccamente compromesso; si rodeva dalla rabbia per la cattiva piega che stava prendendo quell’avventura, e voleva parlare a Waterhouse, al morale, all’esemplare, al saggio Waterhouse, il quale certamente avrebbe preso le cose molto sul serio. Malediceva amaramente il destino, malediceva Waterhouse, e malediceva specialmente la costa occidentale dell’Africa.
Ne aveva fin sopra i capelli di quella spedizione! Ed in cuor suo non aveva che una sola inquietudine, un sol pensiero: sapere dove si era nascosto il Porroh.
Può parere strano; ma Pollock non era più commosso dall’uccisione di quella donna. Ne aveva viste tante e poi tante in tre mesi! e donne uccise, e capanne incendiate, e cadaveri disseccati dal sole; ne aveva viste tante di nefandezze, che il suo cuore si era un po’ indurito; ciò che lo turbava, era la certezza che la sua avventura non era finita, tutt’altro, stava per incominciare!
Accolse l’indicazione del portatore con una bestemmia, ed entrò di pessimo umore, certo di ricevere dei rimproveri, nella tenda di Waterhouse, che era stata eretta sotto fronzuti aranci.
Waterhouse era ancora addormentato dall’ultima dose di cloralio; ciò vedendo, Pollock sedette sopra una cassa, accese la pipa, ed aspettò che si svegliasse. La tenda era ingombra di porcellane e di armi che Waterhouse aveva preso nella tribù dei Mendi e che già stava collocando in varie casse per il viaggio in canotto fino a Sulymanota 4.
Di lì a poco Waterhouse si svegliò e stirandosi e sbadigliando dichiarò di essere completamente guarito. Pollock gli diede una tazza di tè, e incominciò a narrare l’accaduto.
Ma la cosa, non andò tanto liscia come aveva preveduto. Waterhouse non si accontentò di disapprovare, rimproverò acerbamente e grossolanamente.
— Voi siete uno di quei famosi idioti, – incominciò a dire, – che non considerano un moro come un essere umano! Non posso essere ammalato un giorno, ed eccovi immischiato in un brutto affare. È la terza volta in un mese che vi succedono delle noie con un indigeno, e questa è la più grossa di tutte! E con un Porroh! E sapete perfettamente che ce l’hanno con voi, da quando avete inciso il vostro nome su quell’idolo! E sapete che sono gli uomini più vendicativi del mondo! Bel modo di diffondere la civiltà!… e dire che siete di una famiglia onorevole. Mi lascio tagliare la testa se m’impiccio ancora d’un uomo vizioso e stupido al pari di voi.
— Via, calmatevi, – brontolò Pollock con un tono di voce che aveva sempre fatto andare sulle furie Waterhouse,– calmatevi!
A tali parole Waterhouse ammutolì, balzò in piedi e urlò più che non disse:
— Attento, Pollock! Bisogna che ritorniate in Inghilterra. Non posso tenervi con me più a lungo, sono abbastanza ammalato così, per colpa vostra.
— Non fatevi cattivo sangue, – rispose l’altro fissandolo in volto, – sono pronto ad andarmene.
Waterhouse si calmò e sedette sopra uno sgabello.
— Va bene, – riprese a dire, – io non voglio discussioni, voi mi capite, ma è molto noioso che sciupiate i miei progetti con una storia simile…. Andrò a Sulyma per facilitare il vostro imbarco.
— Non ne vale la pena. Posso andarmene solo, la distanza non è grande.
— Non è grande? Voi non conoscete i Porroh!
— Come potevo mai sapere che quella donna era di un Porroh, – disse allora Pollock con amarezza.
— Ecco che cosa succede! essa gli apparteneva, e voi non ne sapete niente! E volete partire solo, disgraziato! Io penso con spavento a quello che potrebbero farvi. Voi non sapete dunque che sono stregoni ed hanno nelle loro mani tutto il paese? Essi rappresentano la legge, la religione, la politica, la magìa, la medicina…. tutto! Le crudeltà dell’Inquisizione sono un nulla a confronto della loro ferocia! Il vostro Porroh aizzerà contro di voi Awajall, il capo-tribù. Per fortuna che i portatori sono dei Mendi! Bisognerà trasportare altrove il nostro campo, e che il diavolo vi porti! Partite, partite, e senza cercare altra rogna da grattare!
Waterhouse tacque, e parve assorto in pensieri sgradevoli. Dopo un po’ si alzò in piedi, afferrò la carabina e si avviò per uscire dicendo a Pollock:
— Nei vostri panni, mi nasconderei per qualche giorno, io vado ad informarmi su ciò che si dice nel vicinato.
Pollock rimase sotto la tenda, seduto ed immerso nei suoi pensieri.
— Non sono fatto per questa vitaccia! – disse fra sè amaramente, riempiendo la pipa. – Più presto rivedrò Londra o Parigi meglio sarà! – ed il suo sguardo cadde sulla cassa suggellata, nella quale Waterhouse aveva riposto le freccie avvelenate raccolte nel paese dei Mendi. – Avrei ben voluto ficcargli una palla nel corpo, a quel birbante! – esclamò con aria truce.
Waterhouse ritornò dopo un po’ di tempo. Non era in vena di chiacchierare, benchè Pollock lo tempestasse di domande. Da quanto erasi potuto appurare, il Porroh era un membro importante di una società segreta. Il villaggio prendeva grande interesse al fatto; ma non vi era nulla da temere per ora. Nessun dubbio però che lo stregone si fosse ritirato nella macchia. Era un potente stregone!
— Certamente egli macchina qualche cosa, – disse Waterhouse.
— Ma che cosa potrebbe fare? – chiese Pollock.
— Bisogna che assolutamente io vi tolga da questo imbroglio, – incominciò a dire l’altro dopo essere stato un momento assorto ne’ suoi pensieri…. – e qui gatta ci cova! È certo, altrimenti il villaggio non sarebbe tanto tranquillo!
Pollock desiderava ardentemente sapere dove e quale potesse essere il pericolo che lo minacciava.
— Qui si balla a giro tondo in mezzo a teschi! Qui si rimesta roba che puzza in una caldaia di rame, – disse Waterhouse; e siccome Pollock insistè per avere la spiegazione di quelle strane parole, l’altro perdè la pazienza ed esclamò: – Ma come diavolo volete che io sappia quello che succederà!… Quello che so di certo, è che ha cercato di farvi la pelle, e che avendo fallito la prima volta, cercherà di riuscirvi la seconda! Del resto lo vedrete abbastanza presto voi stesso, quello che succederà. Non è necessario farvi paura!… e può darsi che i miei sospetti siano fallaci!
*
La sera, mentre stavano seduti davanti al fuoco, Pollock cercò d’intavolare il discorso sulle abitudini dei Porroh.
Ma Waterhouse capì dove l’altro voleva andare a finire e gli disse:
— È meglio che ve ne andiate a letto. Domani partiremo di buon mattino, e potrete aver bisogno di tutto il vostro sangue freddo.
— Ma che potrà succedere?
— E cosa posso saperne? Sono assai capricciosi questi Porroh; hanno un mucchio di furberie impossibili a prevedersi. Fareste meglio a chiedere informazioni a Shakespeare, quel diavolone dalla pelle color di rame….
Ad un tratto apparve un bagliore dietro le capanne, si udì una detonazione, e Pollock sentì un fischio sopra la testa. Questo almeno significava qualcosa.
I mori ed i meticci che stavano seduti a chiacchierare intorno al fuoco, balzarono in piedi, e qualcuno sparò a caso nell’oscurità.
— Sarà meglio entrare in una capanna, – disse tranquillamente Waterhouse, che era rimasto seduto e non pareva affatto commosso.
Pollock si alzò, ed estrasse la rivoltella. Egli non aveva paura di combattere; ma la notte è una gran protettrice per i malfattori…, pensava fra sè, recandosi nella tenda per obbedire ai saggi consigli di Waterhouse.
Si coricò e si addormentò. Ma per quanto il sonno fosse leggero, pure, fu turbato da sogni e da incubi ne’ quali appariva sempre il Porroh tale e quale l’aveva visto sulla soglia della capanna, colla faccia rovesciata. Era assai bizzarro che quell’impressione d’un istante lo avesse colpito così profondamente. D’altronde egli era tormentato da dolori strani in tutte le parti del corpo.
Nella nebbia lattiginosa del crepuscolo mattutino, mentre caricavano i canotti, una freccia dentata venne ad un tratto a conficcarsi in terra vicinissimo ai piedi di Pollock. I portatori cercarono qua e là nella macchia circostante; ma non scoprirono nessuno.
Dopo quei due incidenti, una parte dei componenti la spedizione ebbe qualche velleità di abbandonare Pollock a sè stesso, e questi, per la prima volta in vita sua, cercò di avvicinarsi ai negri. Waterhouse s’imbarcò in un canotto, e Pollock dovette imbarcarsi in un altro malgrado il suo vivo desiderio di chiacchierare. E lo lasciarono solo, a prua, ed ebbe la poco gradevole soddisfazione di navigare in mezzo al fiume, a cento metri almeno dalle due sponde, con degli uomini che non lo amavano, e dei quali poteva fidarsi fino ad un certo punto. Però egli aveva fatto entrare nel suo canotto Shakespeare, il meticcio di Freetown, e lo fece parlare sulle abitudini dei Porroh. E Shakespeare, al quale non era riuscito di lasciar solo Pollock, si piegò di buon grado e con molta franchezza alla sua curiosità.
E la giornata passò. Il canotto scivolava lentamente in mezzo al fiume sulle cui sponde si alternavano i fichi acquatici, i papyrus, e le palme. Sulla sinistra vedevasi la fitta e scura selva di manghi attraverso la quale giungeva il muggito delle onde dell’Oceano.
E Shakespeare parlò delle sorti che potevano gettare i Porroh, e de’ loro malefizii, ed in che modo potevano mandare de’ brutti sogni, e delle apparizioni diaboliche, e come torturarono e fecero morire i figli di Ijibu, e come rapirono un mercante bianco da Sulyma, colpevole di aver maltrattato uno della loro setta, e che aspetto aveva il cadavere di detto negoziante quando fu trovato, ecc.
E Pollock bestemmiava contro l’inerzia del Governo britannico che non sa reprimere tante crudeltà e tante infamie.
Nella serata giunsero al lago Kasi, e posero l’accampamento sopra un isolotto dal quale dovettero scacciare almeno una ventina di coccodrilli.
Il giorno dopo, la spedizione arrivò a Sulyma in riva al mare; e Pollock dovette rimanervi cinque giorni, prima di proseguire per Freetown (città principale della Sierra Leone).
Waterhouse, stimando l’altro abbastanza al sicuro nella zona d’influenza dei bianchi di Freetown, se ne tornò con la sua scorta nell’interno della Colonia verso Gbemma.
A Sulyma, Pollock conobbe un certo Perera, l’unico negoziante bianco ivi esistente, e strinse con lui grande amicizia.
Quel Perera era un ebreo portoghese che aveva passato buona parte de’ suoi anni in Inghilterra, e stimava essere un grande onore l’avere per amico un inglese.
Per un paio di giorni nulla accadde di straordinario. Pollock e Perera giuocavano a carte dalla mattina alla sera, e Pollock perdette e cominciò a far debiti.
Il terzo giorno, verso sera, ebbe la sgradevole improvvisata di vedere segnalato l’arrivo del Porroh a Sulyma, grazie ad una ferita alla spalla procuratagli dalla punta acuminata d’un proiettile di ferro. Era un proiettile lanciato da lontano, aveva perso molta velocità e forza prima di ferire; ma era un avviso assai significativo.
Pollock rimase seduto tutta la notte, colla rivoltella stretta in pugno, nel suo letto sospeso, e l’indomani narrò l’accaduto a Perera. Questi aggrottò le ciglia, poichè conosceva a fondo gli usi degli indigeni, e disse:
— È una questione personale! Capite? Qui si tratta di una vendetta. Certamente egli ha gran fretta, a causa della vostra partenza; ma non un indigeno od un meticcio s’immischierà dell’affare, a meno che ne aveste necessità voi stesso per l’interesse e sicurezza vostra…. Se lo prenderete all’improvviso, allora potrete ucciderlo; è vero però che anch’egli potrebbe uccidervi. Ma il male si è che possiede una magìa infernale…. senza dubbio io non ci credo…. tutto ciò è superstizione! Ma è noioso il sapere che vi è un moro che durante la notte, all’aperto, balla intorno ad un braciere per mandarvi dei cattivi sogni. Non avete fatto de’ sogni cattivi?
— Certamente, – rispose Pollock. – Io vedo sempre ne’ miei sogni la testa rovesciata di quel brigante, che mi fa mille boccaccie e che un po’ si avvicina, un po’ si allontana, per avvicinarsi poi nuovamente! Non c’è da aver paura; ma pure mi vengono i brividi nel sonno! Strana cosa sono i sogni. Io mi persuado sempre che è un sogno e non posso mai svegliarmi per sfuggire quella visione.
— Immaginazione e null’altro, – rispose Perera. – Ma i miei negri pretendono che i Porroh possano mandare dei serpenti. Non ne avete mai veduti fino ad ora?
— Uno solo! E l’ho ucciso questa mattina sul tavolato, vicino al letto. A momenti ci mettevo il piede sopra.
— Ah! – esclamò Perera. Poi continuò a dire: – naturalmente è una pura combinazione. Però bisogna stare in guardia…. Avete dei dolori nelle ossa?
— Sì, ma è la febbre che dà quei dolori.
— Probabilmente, ma quando vi sono venuti?
Allora Pollock si rammentò che aveva risentito quei dolori, per la prima volta, la notte stessa dell’uccisione della donna.
— Il mio parere, – disse Perera, – è che non ha ancora voglia di uccidervi. Ho sentito dire che il loro scopo è di tormentare e spaventare un uomo coi loro malefizi, procurandogli dolori, sogni cattivi, ecc., fino al giorno in cui il disgraziato è stanco di vivere. Sono leggende naturalmente, e non dovete inquietarvene; però io mi domando che cosa inventerà adesso.
— Bisognerà che io trovi qualcosa prima di lui, – disse Pollock, fissando con sguardo cupo le carte unte che Perera deponeva sulla tavola. – Non è dignitoso per me l’essere perseguitato in ogni dove, l’essere il punto di mira di un nemico; è una esistenza odiosa…. Io chiedo a me stesso se questa magìa dei Porroh potrebbe far cambiare la fortuna d’un giocatore…. – E guardava sospettosamente Perera.
— Senza dubbio, – rispose l’altro mescolando le carte con affettazione, – sono uomini assai strani.
Quel giorno Pollock uccise due serpenti nel suo letto, e numerosissime formiche rosse, abbondanti in quel paese, invasero la sua camera.
Tutte queste noie lo decisero a narrare l’accaduto ad un Mendi, capace di qualunque azione, che egli conosceva già da qualche tempo.
Questo onesto Mendi, gli fece vedere un piccolo pugnale di acciaio, e gli indicò sul collo il punto ove meglio si poteva colpire. Era cosa da far rabbrividire.
Come ricompensa, Pollock gli promise un fucile a due canne, con piastra di lusso.
Nella serata, mentre Pollock e Perera giuocavano a carte, il Mendi entrò con un fagotto bianco, macchiato di sangue.
— Non qui, – urlò l’Inglese, – non qui, – ma ciò non impedì all’uomo che aveva gran fretta di ricevere la ricompensa promessa, di aprire il fagotto e di gettare sulla tavola la testa del Porroh. Quella testa balzò e cadde in terra lasciando sulle carte una striscia rossa; ruzzolò in un canto ove si fermò, alla rovescia, cogli occhi aperti e truci fissando Pollock.
Perera si alzò di botto nel momento stesso in cui la testa cadde in mezzo al giuoco di carte; ed incominciò a bestemmiare furiosamente in portoghese. Il Mendi colla stoffa insanguinata in mano esclamò:
— Il fucile?
Pollock si voltò verso la testa; essa aveva precisamente la medesima espressione di quella che vedeva sempre nei suoi sogni, ed a guardarla gli pareva sentirsi spezzare il cervello.
Allora Perera, che erasi calmato un po’, disse:
— L’avete fatto uccidere? Non l’avete ucciso voi stesso?
— E perchè no!
E l’altro, come parlando a sè stesso:
— Non potrà più levarsela.
— Levarmi che cosa?
— E tutte queste carte macchiate?
— Che cosa volete dire con il vostro levarsela?
— Bisognerà inviarmi un altro mazzo di carte da Freetown. Lì ne troverete certamente.
— Ma…. cosa significa il vostro levarsela?
— Oh! è una superstizione…. non ne so nulla…. I negri dicono che allorchè uno stregone…. perchè era uno stregone…. ma è inutile…. Voi avreste dovuto intendervi col Porroh ed ucciderlo voi stesso. Ciò è stupido.
Pollock incominciò a bestemmiare a sua volta, e guardando la testa:
— Non posso sopportare quello sguardo! – disse, e correndovi incontro le diè un calcio.
Ma la testa fece due o tre ruzzoloni, si fermò nella medesima posizione di prima, alla rovescia, e continuò a fissare Pollock.
— È ributtante, – esclamò Perera, – ributtante.
E Pollock stava per dare un altro calcio, quando il Mendi lo afferrò per una manica dicendo in tono cupo:
— Ed il fucile?
— Te ne darò due se mi porti via questa porcheria, – urlò Pollock.
Il Mendi crollò il capo e dichiarò che voleva il fucile dovutogli, del quale sarebbe stato assai riconoscente; e nè colle buone nè colle minaccie volle cambiar parere.
L’ebreo portoghese aveva appunto un fucile da vendere, e Pollock glie lo comperò e lo diede al Mendi che se ne andò subito assai soddisfatto.
Ma gli occhi di Pollock, non potevano staccarsi da quella testa.
— È strano come essa si ostini a rimanere alla rovescia, – disse Perera con un sorriso forzato. – Bisogna che abbia il cervello assai pesante. Vi rammentate quelle bottigliette col piombo in fondo, che si rizzano sempre? Voi la porterete via quando ve ne andrete…. anzi potreste portarvela via anche subito…. Le carte sono tutte insudiciate…. Vi è un uomo che ne vende a Freetown…. La camera è in un bello stato…. avreste dovuto ucciderlo voi stesso….
Pollock fece uno sforzo supremo, afferrò la testa e la sospese ad un uncino che stava in mezzo al soffitto della sua stanza ed uscì senz’altro per scavare una buca.
E mentre scavava, pensava a quella testa, ed era certo di averla appesa per i capelli, ma doveva ingannarsi, perchè quando rientrò per riprenderla, la trovò appesa per il collo, alla rovescia.
La seppellì prima del tramonto, al nord della sua capanna, in modo di non esser costretto a passarci vicino quando la sera si recava a letto.
Quella sera, prima di coricarsi, uccise ancora due serpenti.
Nel bel mezzo della notte, si svegliò all’improvviso, udì dei colpi leggeri e ripetuti sul pavimento. Si alzò pian pianino ed afferrò la rivoltella che teneva sempre sotto il guanciale. Udì un grugnito e sparò un colpo a caso. Un guaìto seguì la detonazione e qualcosa di nero attraversò rapidamente il vano della porta.
— È un cane, – disse fra sè Pollock, e si ricoricò.
All’alba era già sveglio, inquieto, e con un dolore nelle ossa che non gli era sconosciuto. Per un po’ rimase disteso osservando le formiche rosse che camminavano sul soffitto, poi venne giorno, e guardando per caso in terra, vi scorse un oggetto di colore oscuro. A tal vista diè un balzo così violento che il letto sospeso si rovesciò e Pollock cadde disteso in terra ad un metro dalla testa del Porroh.
Era stata esumata dal cane, aveva il naso rosicchiato e le formiche e le mosche vi brulicavano sopra…. Cosa assai strana, la testa era ancora rovesciata, e gli occhi avevano sempre quella stessa espressione diabolica.
Pollock rimase un po’ seduto in terra, paralizzato, quasi ipnotizzato. Quindi si alzò, girò intorno alla testa evitando di avvicinarsi troppo ed uscì dalla capanna.
La luce abbagliante del sole, la brezza mattutina, la fossa vuota, e le traccie delle zampe del cane valsero a tranquillarlo un po’.
Narrò la sua avventura a Perera, e questi gli disse con buon umore mal simulato:
— Avete avuto torto di far paura al cane.
Pollock, in attesa del piroscafo che doveva imbarcarlo, impiegò i due giorni seguenti a fare i preparativi per la partenza, e vincendo il ribrezzo che destavagli quella testa, andò fino alla foce del fiume e la gettò in mare. Ma, cosa assai bizzarra, anzi miracolosa, quella testa sfuggì all’appetito dei coccodrilli, e fu rigettata dal flusso marino sulla spiaggia. Un intelligente meticcio la raccolse e la offrì in vendita come oggetto curioso e raro a Pollock ed a Perera, proprio sul calar della notte. Malgrado il prezzo basso, anzi bassissimo, non trovò in quei due bianchi degli acquisitori; dovette quindi andarsene, e mentre si allontanava passando innanzi alla tenda di Pollock vi gettò il suo lugubre fardello. Pollock all’indomani andò su tutte le furie, e decise di bruciare l’orribile testa. Uscì all’alba ed innalzò una specie di rogo con degli sterpi; ma fu interrotto in quell’operazione dal fischio del piroscafo che giungeva appunto in quel momento.
— Ah! sia ringraziato Iddio! – esclamò Pollock; e con mani tremanti accese il rogo, vi gettò la testa maledetta e si allontanò per chiudere le valigie e salutare Perera.
*
Fu con infinita soddisfazione che Pollock vide allontanarsi rapidamente la spiaggia arida e fangosa di Sulyma.
Gli pareva di essere oramai al sicuro da ogni pericolo, ed il sentimento di paura e di inquietudine fino a quel momento provati, incominciavano a poco a poco a svanire nell’animo suo. Il regno dello stregone rimaneva a Sulyma, ed egli se ne allontanava sul piroscafo, e rapidamente.
— Addio, Porroh! – gridò egli. – Addio e per sempre!
In quella sera il capitano del bastimento venne incontro a Pollock sopra coperta e, augurandogli la buona sera, gli disse:
— Ho trovato sulla spiaggia qualcosa di molto strano, non ho mai visto una cosa simile in questi luoghi.
— Che cosa può mai essere? – chiese Pollock.
— Una testa in conserva!
— Come?
— Sì, una testa affumicata! La testa di uno di quei Porroh. Ma cosa diavolo avete?… Ma perchè impallidite? Siete nervoso forse? Patite il mare?… Ho messo quella testa nello spirito, in un vaso di vetro con dei serpenti; ma mi lascio impiccare se non galleggia alla rovescia! Che cosa ne dite?…
Pollock mandò un urlo selvaggio, e premendosi con ambe le mani la testa, si slanciò dalla parte del tamburo della ruota, col fermo proposito di gettarsi in mare; ma poi, riflettendo un po’, ritornò dal capitano.
— Aiuto! – urlò quest’ultimo, – Jack, Philip, abbrancatemi quest’uomo! Passate al largo! Non avvicinatevi, signor mio! Che cosa avete? Siete pazzo?
Pollock si appoggiò una mano sulla fronte e disse:
— Sì, credo che sto per diventare pazzo! È il dolore che mi piglia ad un tratto…. Spero che mi scuserete….
Ed era pallido come un morto, e sudava freddo, e capì di essersi esposto a far dubitare del suo buon senso. Fece uno sforzo sopra sè stesso per riacquistare la fiducia del capitano, rispondendo alle sue domande, accettando i suoi consigli.
E parlando di vari oggetti che il capitano collezionava, il discorso cadde nuovamente sulla testa. Allora Pollock dovette udirne la descrizione minuta, e gli pareva che il piroscafo fosse trasparente al pari del vetro e vedeva la cabina del capitano, e nella cabina la testa rovesciata che lo guardava!
Pollock ebbe sul bastimento ore ancor più terribili di quelle passate a Sulyma. Tutto il santo giorno doveva frenarsi per non commettere stranezze, tanto forte era la sensazione che provava nel sapere quella testa vicina a lui! Il suo cervello era pieno di neri fantasmi, e di notte egli si svegliava all’improvviso col sudore gelido, con un urlo soffocato nella gola!
La vera testa lo abbandonò finalmente a Bathurst, perchè cambiò piroscafo per Teneriffa; ma le visioni tetre ed i dolori nelle ossa non lo abbandonarono. A Teneriffa cambiò nuovamente bastimento, e s’imbarcò sopra un piroscafo della linea del Capo di Buona Speranza; ma la testa lo perseguitava ancora.. Giuocò, lesse molti libri, si ubbriacò molte volte; ma ogni volta che un oggetto nero e rotondo gli si parava dinanzi, egli vedeva la testa, e la vedeva davvero!
E la vedeva tanto bene che la sua immaginazione incominciava a tradirlo; il piroscafo sul quale egli navigava, i suoi compagni di viaggio, i marinai, il mare immenso, tutto gli pareva far parte d’una fantasmagoria interponentesi fra lui e un mondo di orrori, senza però velarlo completamente: il Porroh, visibile attraverso quel velo, era la sola realtà! E Pollock camminava agitato, assaggiava qualcosa, mordeva qualcosa, si bruciava le mani con un fiammifero, o si conficcava un ago nelle carni. E così sempre in lotta feroce e silenziosa contro la sua delirante fantasia.
Quando finalmente sbarcò a Southampton, andò direttamente in vettura dalla stazione di Waterloo all’ufficio del suo banchiere in Cornhill, e là parlò di affari col direttore, in un salotto riservato, e vide la testa sospesa davanti a lui sopra il marmo nero del camino; essa sgocciolava sul parafuoco, ed egli udiva cadere le goccie e scorgeva delle macchie rosse sulla lastra di ottone del focolare.
— È una bella felce, – disse il direttore, che seguiva lo sguardo di Pollock, – ma fa arrugginire il parafuoco.
— Ah! sì, – rispose Pollock, – una bella felce!… Ma ciò mi fa pensare…. Avete un dottore specialista per malattie mentali cui raccomandarmi?… Mi sono buscato, non saprei come chiamarla…. una allucinazione, in quella maledetta Africa!
La testa sghignazzò con un’espressione di ferocia assai strana, e Pollock non potè capire come il direttore nulla avesse udito, perchè scriveva tranquillamente l’indirizzo del medico specialista per malattie mentali.
Pollock si congedò subito dall’uomo d’affari, e sceso in istrada, si provò ad attraversarla dirimpetto a Mansion House.
Per gli abitanti di Londra l’attraversare una strada frequentata, è cosa non tanto agevole; figurarsi per uno che giunge caldo caldo dalle solitudini malsane di Sierra Leone; l’avventurarsi in quella confusione di vetture, cani, omnibus, carretti, ecc., è cosa da diventar pazzi. Ma quando per di più una testa tagliata vi si sbatte ad un tratto fra le gambe, balzando come una palla di gomma, lasciando ogni volta che tocca terra numerose macchie di sangue, allora non potete evitare una disgrazia.
Pollock cercò di evitare la testa, e le diè un calcio poderoso; ma nello stesso tempo fu colpito violentemente nella schiena, ed ebbe una sensazione come se qualcosa di caldo gli colasse lungo il braccio. Era stato urtato dal timone di un omnibus e tre dita della mano sinistra erano rimaste schiacciate dallo zoccolo di uno dei cavalli, precisamente le tre dita (pollice, indice, medio) che avevano servito a sparare contro il Porroh.
Fu tolto da quella posizione piuttosto incomoda (sfido! era in mezzo alle gambe dei cavalli) e gli trovarono addosso l’indirizzo del dottore.
Per due giorni Pollock dovette rimanere a letto. Ebbe un po’ di febbre, subì qualche operazione col relativo odore acre del cloroformio, ed appena fu convalescente, l’incubo tremendo incominciò di nuovo a tormentarlo.
— Sarebbe stato meglio per me che mi fossi schiacciata la testa invece delle dita! – diceva fra sè guardando pensieroso un cuscino nero che in quel momento aveva preso la forma di testa.
Parlò al dottore del suo sconvolgimento cerebrale e capiva benissimo che doveva finire per impazzire, a meno che non avvenisse un miracolo.
Egli narrò al dottore che aveva assistito nel Dahomey ad un’esecuzione capitale, e che era da quel giorno perseguitato da una testa! Non si sentiva di narrare i fatti nella loro esattezza.
Il medico diventò serio, poi domandò:
— Nella vostra fanciullezza avete ricevuto un’educazione molto religiosa?
— Oh! assai poco!
La fronte del dottore si annuvolò:
— Non so se avete sentito parlare di cure miracolose…. quella di Lourdes, per esempio. Potrebbe darsi che non fossero miracolose del resto….
— La fede, ho paura, mi servirà a ben poco, – e fissava intensamente il cuscino nero.
La testa in quel momento faceva delle orride boccaccie; il dottore entrò in un altro ordine di idee:
— È la fantasia, l’immaginazione, la causa di tutto il vostro male, bella occasione per ricorrere alla virtù della fede! Il vostro sistema nervoso è depresso, voi siete in quello stato crepuscolare della salute, in cui gli spettri si producono assai facilmente. L’impressione che avete ricevuto è stata troppo forte per voi. Vi darò qualcosa che rinforzerà il vostro sistema nervoso, specialmente il cervello, ma bisogna che facciate molto moto.
— Non sono fatto per una cura di fede!
— Ed è per ciò che vi darò una medicina: cercate in qualche paese un’aria stimolante…. la Scozia, la Norvegia, le Alpi….
— O Gerico, se volete, – rispose Pollock, – Gerico ove il profeta mandò Naaman!
Comunque sia, appena potè lasciare il dottore, Pollock fece un tentativo coscienzioso per seguirne i consigli.
Era il mese di novembre; giuocò al «foot-ball»; ma ahimè, per lui quel giuoco consisteva nel tirare de’ potenti calci ad una testa rovesciata! Non era abile affatto, dava dei calci all’impazzata e con ribrezzo; e per di più, quando gli arrivava la palla addosso, urlava come un indemoniato e usciva dalle linee di giuoco.
Le sue azioni vergognose che l’avevano obbligato a lasciare l’Inghilterra per cercare avventure sotto i tropici, gli avevano chiuso le porte della buona società, ed ora la sua condotta ogni giorno più strana, gli allontanava gli amici che ancor gli rimanevano.
Lo spettro non fu per molto tempo una apparizione solamente visibile; egli lo chiamava e gli parlava!
Uno spavento tremendo s’impadronì di lui quando incominciò a sentire il contatto di quell’apparizione; e quella testa non era più un oggetto che ne prendesse l’aspetto e la forma, era una vera testa staccata dal corpo. Quando egli era solo bestemmiava, implorava, sfidava quel capo mozzo e terribile! Un giorno si dimenticò al punto di parlarle in presenza di altre persone. Ed egli, vedeva ogni giorno che tutti quelli che l’attorniavano, la padrona di casa, la serva, il domestico, tutti lo osservavano con diffidenza.
Un giorno, sui primi di dicembre, il cugino Arnaldo venne in casa di Pollock. E a questi parve che l’altro tenesse in mano non il cappello, ma bensì una testa rovesciata che, fissandolo con occhi truci, cercasse di mettergli il cervello a soqquadro.
Egli era deciso di finirla. Comprò una bicicletta; ma quando percorse la strada gelata che va da Wandsworth a Kingston, ritrovò la testa che ruzzolava vicino a lui lasciando uno strascico sanguigno. Raddoppiò velocità, ma lo spettro lo sorpassò, ed alla discesa di Richmond Park si parò dinanzi alla ruota anteriore tanto rapidamente, che Pollock non ebbe il tempo di riflettere; manovrando il manubrio per evitare l’ostacolo, andò a sbattere sopra un mucchio di pietre e si fratturò il polso sinistro.
Alla mattina del giorno di Natale giunse il fatale scioglimento. Nella notte aveva avuto la febbre, la fasciatura del polso lo torturava come se fosse un braccialetto di fuoco; l’incubo era diventato più terribile che mai. Nella luce incerta, pallida che precede il levar del sole, egli vide sul cassettone, al posto della solita coppa di bronzo…. la testa fatale!
— Eppure io so benissimo che è una coppa di bronzo, – disse fra sè col cuore agghiacciato dalla paura.
Ora il dubbio non era più possibile; si levò dal letto lentamente, rabbrividendo, e si avvicinò alla coppa, colle mani distese. Si accertò allora che la sua immaginazione l’aveva ingannato, riconobbe il brillante speciale del bronzo. Poi, dopo un po’ d’incertezza, le sue dita lo toccarono. Ritirò la mano con un gesto convulso. Era l’ultima tappa del male: come gli altri sensi, il tatto l’aveva tradito!
Tremante, barcollante vicino al letto, urtando le scarpe coi piedi scalzi, si diresse tastoni verso la tavola, vi prese un rasoio ed andò a sedersi sul letto. E vide nello specchio il suo viso, pallido, stravolto, coll’impronta della suprema disperazione.
Passò rapidamente in rassegna la sua vita, incominciando dalla fanciullezza. Il focolare domestico senza gaiezza, i giorni ancor meno gai passati alla scuola, gli anni di dissipazione, il succedersi delle cattive azioni, tutto gli parve indegno di pietà. Si rivide nella capanna del selvaggio, nel suo combattimento col Porroh, nel suo viaggio in canotto sul fiume Sulyma; si rammentò del Mendi assassino, col suo fagotto insanguinato, gli sforzi inauditi per finirla con quella testa, il progresso della sua allucinazione! Egli lo capiva benissimo, era una pura e semplice allucinazione!
Per un po’ sperò ancora, guardò sul cassettone, e la testa rovesciata sghignazzava e faceva boccacce!
Allora colle dita irrigidite della mano ferita, cercò sul collo le pulsazioni dell’aorta….
La mattinata era fredda e la lama gli parve gelida!
Fine.
nota 1 – Quello che stiamo per narrare succede in gran parte nella Colonia inglese della Sierra Leone, e precisamente sulla costa Sierra Leone (Africa occidentale) fra la costa del Kerry e quella del Pepe. La penisola Turner e l’isola di Sherboro fanno parte di detta Colonia, i cui fiumi principali sono il Sulyma e il Bamopamo.
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nota 2 – Sofala (Stato dell’Africa orientale). (Note del Trad).
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nota 3 – Mango (Mangifera), pianta anarcadiacea, albero a foglie semplici, coriacee, con spighe terminali di piccoli fiori. Il Mango raggiunge l’altezza di dodici metri (Indie orientali-Africa occidentale) simile alla quercia. (Nota del Trad.).
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nota 4 – Città e fiume omonimo della Sierra Leone. (Nota del Trad.).
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Pollock ed il Porroh ovvero la testa tagliata
AUTORE: Wells, Herbert George
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: Novelle straordinarie / H. G. Wells ; [illustrazioni di Celso Ondano]. - Milano : Fratelli Treves, 1905. - 211 p., [10] c. di tav. : ill. ; 27 cm.
SOGGETTO:
FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)
FIC028040 FICTION / Fantascienza / Brevi Racconti