Con la collana «L’etica e i giorni» l’editore Cittadella si propone di affrontare dal punto di vista etico alcune questioni centrali del dibattito politico e sociale odierno, nella consapevolezza che problemi complessi e delicati – come ad esempio le unioni di fatto o il testamento biologico – non possano venir relegate all’interno delle aule parlamentari, ma richiedano un approfondimento diffuso e condiviso al livello sociale.
In Unioni di fatto. Coppie, famiglia e società (2009, pp. 110, euro 9,00) Paolo Mirabella spiega – a partire dalla terminologia e dagli equivoci intorno a parole come «convivenza», «unione di fatto», «matrimonio civile» – che la questione delle unioni di fatto (UdF) risponde a un mutamento delle condizioni sociali che non può essere ignorato.
Le UdF non sono banalmente una nuova espressione del dilagare della superficialità e dell’incapacità di assumersi responsabilità e impegni a lunga scadenza, ma anche un esito della impossibilità reale per molti giovani di costruirsi una vita personale e di coppia basata su un progetto. È dunque necessario saper andare oltre gli slogan e le polemiche, per cogliere quanto l’istanza delle UdF risponda alle esigenze e alle sollecitazioni di una nuova realtà sociale molto diversa da quella in cui il matrimonio, come istituzione unica, poteva (forse) bastare.
Anche Giannino Piana, autore di Testamento biologico. Nodi critici e prospettive (2010, pp. 128, euro 9,00), insiste su questo punto: il problema del Testamento biologico (TB) ha bisogno di un dibattito lucido e pacato, lontano dall’invettiva e dagli eccessi titpici delle campagne mediatiche sorte ad esempio nei casi di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. Perché anche il TB, proprio come le UdF, non è una moda o una deviazione epocale: «la domanda insistita di dare riconoscimento giuridico al testamento biologico è espressione di una maturazione della coscienza civile che non va disattesa».
Insomma, le cose cambiano e la tattica dello struzzo non è praticabile. Né sono sostenibili – pena la distruzione di diritto del dibattito in quanto tale – posizioni arroccate su presunte certezze «eterne» o «naturali». Le istituzioni devono avere il coraggio e la capacità di ristrutturare il loro rapporto con i cittadini sulla base di una maggiore partecipazione.
Così, al di fuori di ogni rigidità di principio e di ogni condanna dogmatica (così come di ogni ingenuità trionfalistica) si può scoprire che, in fin dei conti, il TB (ma forse meglio sarebbe chiamarlo «dichiarazione anticipata di trattamento») non è altro che una semplice (e dunque legittima) prosecuzione del «consenso medico informato», che già oggi dà a ciascuno la possibilità di scegliersi modi e limiti della terapia. In conclusione, questi due libri mostrano che – pur di tener gli occhi bene aperti – le cose possono apparire più semplici e pacifiche di quanto si credeva. Quello che occorre è la capacità di mettersi, senza pre-giudizi, nei panni degli altri.