copertina_intervista_cartoniGiuseppe D’Emilio intervista Alessandro Cartoni, curatore dell’antologia “Indiscipline” pubblicata nel 2006 dail lavoro editoriale“. La raccolta, che fa parte della collana “Registri di classe”, contiene sette racconti che hanno come protagonista la scuola: “microstorie, eventi, diari, sorrisi e rabbie di chi nell’aula scolastica vive e lavora, tra entusiasmo e frustrazione”.
Testi di Alessandro Cartoni, Giorgia Coppari, Massimiliano Marzolini, Roberta Morgoni, Marina Sangiorgi.

Per rompere il ghiaccio, parlaci di te, del tuo lavoro, dei tuoi interessi…

Non c’è molto da dire: a quarantadue anni uno si trova a dover scegliere se vivere “fuori” o “dentro”. E siccome fuori, nel mondo, si è un po’ cresciutelli per fare i ragazzini, col problema di una realtà sempre più assurda e incomprensibile, allora è giocoforza concentrarsi «dentro», su se stessi e la propria scrittura. La mattina si va a scuola e poi il resto del tempo si cerca di rubare tempo a tutto il resto (famiglia compresa) […] per scrivere naturalmente. Poi si legge, si legge e si legge. Ogni tanto si sbrocca e c’è bisogno di sudare un po’.

Il titolo dell’antologia mi pare particolarmente azzeccato…

“Indiscipline” non è venuto per caso, ovviamente. Avevamo bisogno di un titolo che da una parte desse l’idea di un progetto composito, dove ognuno potesse dire la sua, ma allo stesso tempo che riunisse questi diversi interventi sotto il minimo comun denominatore della “indisciplina” intesa come capacità di travalicare i limiti e/o i paletti di una certa condizione data: quella del liceale zelante e per bene nei racconti della Sangiorgi, quella del ragazzino giudizioso nel racconto di Martolini, quella dell’insegnante integrato e collaborativo, nei miei racconti o in quello della Morgoni o della Giorgi. Ogni personaggio che si muove nell’antologia compie una specie di “effrazione” rispetto alle consegne del mondo, della morale o dell’amministrazione. Non ti nego che sotto questo titolo c’è anche molto la suggestione di Foucault. Come dire che senza “anormali” la scuola non si giustificherebbe. Resta o non resta una istituzione totale?

Anche l’immagine di copertina è interessante…

La considero in effetti una “chicca”. Ho scovato questa immagine in casa di mia moglie, in un libro degli anni Trenta curato da Alfredo Panzini dal titolo “Il volto nuovo d’Italia”; naturalmente il libro è una celebrazione fotografica del nuovo regime fascista. L’immagine che abbiamo scelto con l’editore per “Indiscipline” è quella di una colonia estiva femminile. I lettini tutti uguali con le fanciulle immortalate sopra è un buon simbolo del progetto educativo fascista. Tuttavia per noi funzionava anche come una provocazione: quella scuola omologata, patriottica e “disciplinata” era così diversa, poi, dalla nostra scuola dell’autonomia, cioè dalla scuola dell’informatica dell’inglese e dei patentini? Siamo davvero così lontani da quel modello? Ci piaceva poter lanciare questa domanda, perché ci pare che la risposta, come avrai capito, non sia poi del tutto scontata.

Qual è stata l’occasione che ha dato origine al progetto che hai curato?

Innanzitutto mettere insieme gente che amava scrivere di scuola. Il piacere della scrittura è stato il primo criterio. E siccome non volevamo un’inchiesta sociologica, l’ottica che abbiamo scelto è stata quella della narrazione: storie di scuola che oltre alla dimensione affabulativa e letteraria avessero anche la virtù di consegnarci una immagine quanto più possibile vera della scuola di oggi. Non volevamo né edulcorare né celebrare e nemmeno stroncare. Piuttosto raccontare […]
E allora gli autori, marchigiani e romagnoli, sono venuti fuori da soli

Nella prefazione, scritta da te in qualità di curatore, fai riferimento ad altri scrittori che si sono occupati di scuola, sia pure intesa in senso molto lato…

Hai ragione, sono partito dagli americani (Hemingway e Carver) che amo e mi sono spostato verso gli europei e poi gli italiani (dei nostri giorni) con l’idea di seguire la tematica della relazione educativa piuttosto che quella della scuola tout court. In effetti, se ci si ferma un attimo, si scopre che scuola c’è laddove si innesca una relazione educativa, e questo è tipico di ogni rapporto umano. Anzi, forse la scuola vera è proprio quella dove la relazione si innesca al di là del contesto formalizzato che, oggi come oggi, per una sua obsolescenza strutturale, sembra il meno adatto a rivelare qualcosa degli individui o a farli crescere. È un po’ quello che capita nel primo racconto di Lodeserto dove il professore in questione è costretto ad uscire fisicamente dalla scuola per “diventare” un insegnante. Qualcosa di questo genere c’è anche nei racconti di Lodoli, mi pare.

Non hai però citato Starnone…

È vero. Confesso di conoscerlo poco. Ma devo dire che la sua attività pubblicistica mi consegna l’immagine più di un polemista che di uno scrittore. Ho invece letto con piacere i racconti sugli obiettivi mancati de “La retta via”, che non trattano di scuola. Trovo più contestuali ai nostri problemi scrittori come la Mastrocola o il già citato Lodoli, ma anche Dufossé che ha scritto un grande romanzo sull’adolescenza, “L’ultima ora”.

Oggi si parla molto, forse a sproposito, del fenomeno del “bullismo”; io ho l’impressione che questo fenomeno sia sempre esistito e che oggi mass-media a caccia di audience lo stiano enfatizzando; però…

Il problema non sono i bulli, quanto, mi pare di poter dire, la violenza, che la nostra società produce e riproduce, imita e sistematicamente diffonde nelle coscienze e nella semiosfera e che quindi tocca tutti gli aspetti dell’esistenza umana. Il mondo del terzo millennio ha perduto i caratteri e la struttura di quella civiltà della ragione che da metà Settecento, pur con alti e bassi, si è protratta fino alla fine del Novecento. Adesso l’avvento di nuove forme di comunicazione e percezione ha stravolto quelle certezze. L’homo videns ha sostituito l’animale razionale, al “discorso”, abbiamo sostituito la “visibilità”. E ciò che s’impone ha i caratteri dell’estremo; noi viviamo già in una cultura che ha i caratteri dell’horror realizzato, e la scuola perché dovrebbe essere da meno?

Semplificando, per motivi di spazio: pensi si possano individuare delle responsabilità per questa situazione?

Continuando il discorso: il problema è che la scuola non riesce a costituire un valido baluardo di resistenza contro l’abbrutimento morale e sociale. Bada bene: non sono un laudator temporis acti, lungi da me; tuttavia bisognerebbe che quella civiltà della ragione e della coscienza critica rimanesse almeno come obiettivo didattico e morale. Ancora una volta, grazie alle “splendide” riforme degli ultimi anni, abbiamo sostituito Dante col patentino del ciclomotore. Siamo allora sicuri che Dante non servisse a diventare un po’ più umani di quello che siamo? Davvero i testi non servono più a niente, perché sono solo pretesti per l’apprendimento? Questo volgare “cognitivismo” che alberga ormai nelle scuole non ci ha portato a dimenticare l’autentica dimensione dell’educazione? In questa “splendida” autonomia vedo pochi insegnanti autonomi e felici del proprio lavoro.

Il protagonista di molti tuoi racconti è il prof. Lodeserto; quanto di autobiografico c’è, se c’è, in questo personaggio?

Molto ma non troppo. Nel senso che, credo, in ogni personaggio ci sia una stratificazione di memoria culturale tratta da testi affini. Io ho pensato a Lodeserto, se mi permetti, mettendo insieme le immagini di alcuni grandi solitari del Novecento: il Mersault di Camus, ad esempio. Ma, a volte, quando pensa e riflette credo che Lodeserto abbia anche qualcosa del Roquentin de “La nausea”. È comunque uno “straniero” a suo modo, e chi di noi non lo è?

Progetti?

Continuare a scrivere senza stancarmi dell’ambiente asfittico e settario dell’editoria italiana. Cosa non facile, come sai. E poi avrei nel cassetto delle interviste ad insegnanti “particolari” che mi piacerebbe racchiudere in un volume dal titolo “L’isola dei confusi”. Per ora, naturalmente, non ho editore.

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