(voce di SopraPensiero)
Questo articolo è un redazionale promosso da Appaltitalia
Si è chiuso un anno importante per il settore degli appalti in Italia, uno dei segmenti più vivaci dell’economia nazionale, con un giro d’affari complessivo che supera i 170 miliardi di euro e incide quasi per l’11 per cento sul Pil del nostro Paese: come raccontato dalle pagine del portale specializzato Appaltitalia, infatti, a metà aprile è entrato in vigore il nuovo Codice, che ha riscritto le norme delle gare e dei bandi pubblici e dato una scossa al comparto.
Le parole di Renzi. Al momento dell’approvazione, l’allora premier Matteo Renzi aveva espresso parole molto positive per il nuovo corpus legislativo, definendolo “un passaggio in avanti tutt’altro che secondario, un’operazione che continua nel tentativo di sbloccare i tanti lavori che sono fermi oggi in Italia”. L’ex presidente del Consiglio, poi dimessosi a dicembre in seguito al fallimento del “suo” referendum, spiegava ancora come quella degli appalti fosse “una riforma strutturale, un passo avanti notevole. Noi abbiamo chiuso la strada alla corruzione. Il Governo sta lavorando con determinazione, la lotta alla corruzione e all’evasione vedono il governo in prima fila, c’è chi fa show e convegni e chi continua a lavorare per combatterla”.
Un’opera di semplificazione. Renzi era entrato anche nel dettaglio dei cambiamenti principali della riforma, sottolineando in modo particolare che “avevamo un vecchio codice, che aveva qualcosa come 660 articoli e 1500 commi, più norme successive; ora passiamo a un codice con 217 articoli, con linee di indirizzi che vengono affidate al lavoro dell’Anac e quindi semplificano moltissimo”, consentendo una “grande battaglia contro la corruzione, che si combatte con norme più semplici non più complicate”.
Giudizio positivo per Delrio. In realtà, le cose non sono andate tutte in maniera così positiva, anche perché c’è stato un calo quasi immediato nei mesi successivi all’approvazione del Codice, definito “fisiologico” per la necessaria fase di transizione dalle vecchie regole alle nuove. A novembre, ad esempio, il ministro delle infrastrutture Graziano Delrio aveva difeso gli interventi della politica, puntando l’attenzione sul fatto che “con il nuovo eviteremo che il 70 per cento dei lavori pubblici finiscano in contenzioso e che dopo i bandi inizino concretamente i lavori”.
Rianimare il settore. Inoltre, il titolare del dicastero aveva descritto la situazione critica del Paese: “Veniamo da una situazione incredibile, di grande complicazione, in cui dal 2007 al 2015 gli investimenti pubblici sono crollati di 110 miliardi di euro, per una stima al ribasso. Questo Codice viene per rianimare un malato. Il contraente generale vigilava su se stesso, questa è una cosa che non sta né in cielo né in terra. Ci sono norme per ridurre i contenziosi, perché una grande malattia che avevamo è che le aziende facevano ricorso l’una contro l’altra armata, ma questo è un sistema che non funziona».
Sguardo al passato. Più di recente, in una intervista di inizio anno 2017, è ancora Delrio a sintetizzare come “nel 2016 abbiamo messo molte scelte per infrastrutture e trasporti sulla buona strada. Grazie all’impostazione strategica data con la struttura tecnica di missione e alla filosofia dettagliata nel codice degli Appalti: opere utili, interventi per valorizzare l’esistente, oltre alla programmazione delle infrastrutture da realizzare e con finanziamenti e tempi certi. E poi abbiamo favorito il trasporto sostenibile con la cura del ferro. Concretamente questo significa che molte opere sono ben avviate: i cantieri e la spesa procederanno nel 2017. Senza intoppi”, assicura il ministro.
La smentita dei dati. Eppure, i risultati “numerici” non sono così positivi, e anzi i dati ufficiosi (aggiornati allo scorso 23 dicembre) diffusi dall’osservatorio Cresme Europa Servizi mettono in luce una flessione che interessa sia la quantità di bandi pubblicati (calati del 12,3 per cento) che dei valori delle opere (in ribasso del 29,3 per cento).