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A Paolo, che conosco, è sempre piaciuto scrivere. Quando ci si mette, la sua penna è caustica al massimo livello. Ho avuto la fortuna di conoscerlo a casa mia, quando venne a trovarmi con Barbara, la sua attuale moglie, anche lei acuta e perspicace, oltre che bella e simpatica.
Il romanzo è il suo primo libro, dopo presenze qua e là su antologie e sul web. La prova, dunque, più importante e, almeno da parte mia, attesa.
La storia è raccontata a ritroso. O meglio, un breve presente, che dura tutta una notte, è costellato da una miriade di flashback. Sul pavimento c’è il cadavere di un dirigente dell’azienda Elektracar, specializzata nella ricambistica elettrica e elettronica, Ivanoe Randelli, e il consulente per la formazione Mirco Michichi ci racconta chi era.
La scrittura è giovanilistica e graffiante, nonostante la materia sia ostica (ci troviamo inseriti nelle maglie di un’azienda e dei suoi meccanismi di sviluppo). Cacciolati ne osserva gli aspetti più divertenti e nevrotici. Se si pensi che ci ha messo davanti un cadavere (ce ne saranno altri due), capirete che i congegni che costruiscono la storia acquistano quel sapore intrigante che ci spinge a domandarci sin dal principio quale aria infetta possa aver condotto qualcuno ad uccidere. Se farete un po’ di attenzione, capirete, infatti, che tutti e tre i cadaveri sono il frutto di reazioni parossistiche.
Mentre è in attesa che arrivi qualcuno, il protagonista inganna il tempo ricordando. È lo strumento narrativo che ha scelto l’autore. Ne escono quadretti di vita di impiegati che negli intervalli e dopo il lavoro si ritrovano al Foxi Bar a spettegolare sulle segretarie, ne rammentano le ambizioni di carriera o di sesso. Lì accanto, intorno al fabbricato («il cubone») c’è un giro di prostitute nere (le «lestrigoni»), qualche volta ne approfittano e ne parlano.
Questo Mirco Michichi è anche uno che ruba ai clienti, fa la cresta sul lavoro: «Gli bastava fottere qualche fesso. Chiamarle truffe non era corretto. Piuttosto, erano piccoli arrotondamenti su quanto gli dovevano.» Qualcuno forse deve essersene accorto, poiché ogni notte uno sconosciuto gli fa la posta sottocasa. Fa finta di telefonare, ma Michichi mica è scemo. Quelle sono telefonate finte.
«Ti passa un treno addosso? E tu ti risollevi», questa è la filosofia del protagonista. Che la adotterà anche dopo il tragico scontro con lo spione.
È una filosofia che Mirco sostiene utilizzando le massime di alcuni grandi personaggi storici, che punteggiano la scrittura di divertente ironia, facendo da contraltare agli accadimenti od accompagnandoli con un sorriso malizioso. Che la citazione di massime sia uno strumento appositamente scelto lo dimostra il capitolo 11, dove il suo uso è scientemente massiccio. L’ironia è una delle principali qualità presenti nella scrittura di questo autore, fatta di frasi brevi e ficcanti, e le massime vi rappresentano una fonte di consistente spessore. Emblematico, anche per la sua eccellenza, il capitolo 18. Altro capitolo che merita di essere mandato a mente è il 21, quando il protagonista e l’amico Rinero entrano in una profumeria. Certi passaggi mi ricordano il Giuseppe Bonura (scomparso recentemente, il 14 luglio 2008) de «La ragazza dalla luna storta», del 1982.
Quell’attesa che arrivi gente in azienda, pur a quell’ora tarda, alla quale spiegare il perché il suo capo Randelli si trovi stecchito sul pavimento dell’ingresso, è già di per sé una vocazione al paradosso e al surreale. Sembra che niente possa rappresentarsi come tragedia, ma tutto sia da collocare nella categoria dell’assurdo degli accadimenti di questo mondo, in cui, ad esempio, una ragazza, «Ossi di pollo», tira a campare scroccando ogni giorno la spesa del supermercato a qualche ingenuo seduttore accalappiato chattando in internet.
Lui, Michichi, è un consulente di successo. Gli crederanno quando confesserà di essere l’assassino? Nel dare una spiegazione dei suoi gesti e dei suoi comportamenti, guai a trascurare questo dato fondamentale. Lui è un predestinato alla sua professione. Nessuno puoi essergli migliore. Ammesso pure che ci vorrà un po’ a far capire agli altri che è lui l’assassino, sa pure che non potrà fallire. Anzi rivolterà la confessione a proprio vantaggio. Diventerà famoso.
Ecco, dunque, che l’autore dà una cesura netta con il noir che era stato annunciato. Si tratta di un’avventura prettamente psicologica e tutta latente nel subconscio. Perché un uomo di successo, che deve molto all’azienda di cui è direttore Randelli, lo uccide o quantomeno decide di accusarsi dell’omicidio? Il lettore è chiamato a seguire, in mezzo agli ammicchi e ai sorrisetti che fanno capolino tra le righe, un tema legato alla società dei nostri giorni, che racchiude una insospettata violenza, in grado di far esplodere dentro di noi tutto l’intimo che non conoscevamo.
È un quadrilatero, che potremmo anche chiamare il quadrilatero dell’attesa, quello dentro il quale corre il filo della narrazione, composto dal cubone dove sta disteso sul pavimento il cadavere di Randelli (poi, vedrete ce ne sarà un altro), il Foxi Bar, il viale dove sfilano le prostitute (le «lessigoni») e la casa del protagonista dove va in su e giù, apparentemente attaccato al suo cellulare, un uomo misterioso, che Michichi classifica come uno spione.
Al centro sta il palmare che, nell’attesa che arrivi la polizia, fa da motore ai ricordi, i quali si muovono all’interno del suddetto quadrilatero.
Il palmare («il Superb») è un po’ come la famosa agenda di Giulio Andreotti, dove sono stati registrati tutti i movimenti e tutte le giornate di Michichi.
Il lavoro che ci offre la società moderna ha i tentacoli di una piovra; ci prende e ci tramortisce. Ogni giorno è una sfida, un accumulo di stress. Il nemico numero 1 di Mirco Michichi è un consulente come lui, e sta avendo un grande successo. Si chiama Fabrizio Lusso. Sa che vorrebbe prendere tra i suoi clienti anche la Elektracar, soppiantandolo. È la classica rivalità, che può giungere al parossismo, disturbare il sonno, portare a scorgere pericoli ad ogni angolo di strada. Dappertutto sente puzza delle sue trame, delle sue «tattiche d’intortamento».
Mirco è il classico esempio del furbone che, preso nella spirale del successo e del guadagno, finisce per diventare addirittura paranoico, e intorno al quale si va addensando una nemesi da contrappasso. Figuriamoci che, verso mezzanotte, quando lui è ancora in attesa della polizia che venga a certificare l’esistenza del cadavere di Randelli, l’ispettore Puglisi gli telefona perché è stato scambiato per un sequestratore di ostaggi e gli domanda che cosa voglia in cambio per liberarli.
La situazione è da tragicommedia. Il consulente perfetto, tutto dedito al lavoro, apparentemente al massimo della professionalità, di cui conosce i segreti, si rivelerà alla fine l’emblema della marionetta impazzita in cui ci trasforma una società nella quale occorre primeggiare, distinguersi, mentre restare nella massa, non emergere, è come morire.
Un esordio brillante, questo di Cacciolati, senza smagliature, con una sua originalità che fa ben sperare.