(voce di SopraPensiero)
Siamo soliti trattare la pubblicità con disprezzo (come quell’intervallo inutile e fastidioso che si usa per fare qualcos’altro – o per cambiare canale); ne parliamo come d’una forma di propaganda; e usiamo il termine «merce» non solo per riferirci in generale alla categoria degli oggetti acquistabili, ma in senso dispregiativo, spesso all’interno dell’espressione «riduzione a merce». Ma se questa è la teoria, la pratica è completamente diversa, anzi, opposta: pensiamo alle merci come ciò che può renderci felici, parliamo più spesso dell’ultima offerta per la pay-tv o del «fuori tutto» al centro commerciale che della guerra in centrafrica o della crisi dell’economia; quando pensiamo alla politica e a come vorremmo che fosse, non impostiamo il discorso sull’uomo o sui valori, ma sulla gestione materiale delle risorse esistenti (finanziarie, naturali, ecc.). Insomma la nostra «pratica morale», quella cioè orientata al nostro bene e alla nostra felicità, sembra vivere e sperare (per non dire: prosperare) accanto alle merci. E se vogliamo capire veramente chi siamo e perché agiamo in un certo modo dobbiamo mettere da parte il giudizio infamante e a priori e guardare questa realtà con la dovuta attenzione […]
Emanuele Coccia, docente di Filosofia all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, scrive un libro di grande originalità e interesse che pone, con tutta l’imparzialità possibile, l’interrogativo: come abbiamo fatto a passare dalla società premoderna, nella quale la materia non aveva nessuna rilevanza morale, alla nostra società tardomoderna, nella quale la materia (in tutte le sue forme: «merce», «risorse», ecc.) è al contrario l’elemento fondamentale della nostra morale collettiva? Guidando con grande chiarezza e senza tecnicismi (ma certo un po’ di conoscenza della filosofia aiuta) la discussione sui tanti danni che l’economia mercantile fa all’uomo tutti i giorni (dalla morte per fame ai licenziamenti di massa […]) e che l’uomo sopporta e non riesce a superare soprattutto perché non riesce a immaginare un altro tipo di bene per sé e per la società. Sintetico e incisivo, in una bella edizione tascabile rilegata a filo con risvolti. Fortemente consigliato.
E. Coccia, Il bene nelle cose. La pubblicità come discorso morale, ed. Il Mulino, 2014, pp. 140, euro 12.